LECCE (masseria Papaleo o Tagliatelle)

CENNI STORICI
Lecce svela un’altra delle sue meraviglie e apre le porte di Masseria Tagliatelle, all’interno delle Cave di Marco Vito sulla strada che da Lecce conduce a San Cesario. Duecentocinquanta metri quadrati di copertura per la masseria del ‘700, che durante i lavori di recupero si è rivelata essere una seconda costruzione su un palazzo nobiliare risalente al 1500, residenza di Scipione de Summa, governatore della Terra d’Otranto. La struttura si trova all’interno del parco urbano e ha anche le caratteristiche di una laura basiliana. All’interno della struttura sono presenti i resti di un antico Ninfeo ipogeo, probabilmente all’epoca sorgivo, dove le dame di Lecce si riunivano nei momenti conviviali, per immergere i piedi nell’acqua durante i periodi più caldi. Al Ninfeo delle Fate si accede da un’antica scala sulla quale campeggia un affresco, datato 1585, che illustra l’Annunciazione. All’interno, dodici nicchie occupate dalle “fate”, disposte intorno alla stanza. Un gioco di archi dalle grandezze e altezze variabili, mantenuti ancora in piedi grazie a chissà quale miracolo, ci conduce all’interno del complesso, dinanzi alla lineare e imponente facciata dell’edificio. Le decorazioni esterne sulle architravi delle tre porte di accesso al piano nobile fanno intuire, con pochi dubbi, l’importanza del luogo. Da segni ormai non più visibili, ma giunti sino a noi da chi nei primi decenni del secolo scorso visitando il luogo ha voluto lasciar memoria per iscritto della propria visita, si pensa che sia appartenuta a Scipione de Summa, che governò nella Terra d’Otranto dal 1532 al 1542. Siamo nel periodo in cui, grazie a Carlo V, si iniziava la progettazione e costruzione del maestoso Castello di Lecce. È evidente che la stessa attuale denominazione di masseria potrebbe essere impropria, trattandosi quindi di un vero e proprio palazzo nobiliare. Ma il complesso ha molto probabilmente origini che potrebbero andare poco più indietro nel passato. Infatti, giunti dinanzi alla scalinata che conduce all’esterno, sul lato sinistro del complesso, ove molto probabilmente sorgeva un giardino, in alto sulla lunetta vi è un affresco rappresentante l’Annunciazione, e in basso (forse) si legge 1518. L’affresco è rovinato ma grazie all’altezza non a subito danni ancora maggiori. La scalinata anzidetta conduce all’esterno, alla base del blocco calcareo su cui poggia il grande complesso. Dopo pochi passi è ben visibile una piccola porta. A guardarla oggi, con sguardo superficiale e veloce, sembra una normalissima entrata. Una di quelle che possono condurre in qualche locale di servizio, in qualche scantinato. Ma basta porre un minimo di attenzione per rendersi conto che non è un accesso come tanti altri. Il tempo e lo sfarinamento della pietra leccese ha ormai reso irriconoscibili i dettagli di una architrave che doveva essere di particolare pregio. Francesco Tummarello che visitò il posto nel 1925 ci ha lasciato questa descrizione: “Appena si mette piede nel giardino, si è richiamati da un grande bassorilievo su l’architrave d’una porta della murata a destra del caseggiato soprastante. Tale bassorilievo, intagliato sulla pietra leccese, e formante l’architrave, è quasi tutto corroso, ma vi si scorgono ancora due grandi angioli che sostengono una targa con una logora e indecifrabile iscrizione, la quale principia colla seguente parola: NIMPHIS ET…. POMO…. in carattere lapidario romano. Poco al disopra, sono intagliati due piccoli scudi colle insegne attaccati alla cornice; in uno dei quali scorgono due torri e un leone rampante”. Oggi di quello che vide il Tummarello resta ben poco. È visibile ancora l’angioletto di destra; di quello di sinistra si intuisce che vi era dai contorni sgretolati della pietra. Dell’iscrizione non resta praticamente nulla. Una pietra particolarmente delicata (non tutta la pietra leccese è uguale in quanto a resistenza e sfarinamento) e nel tempo non curata purtroppo ha fatto giungere ben poco sino a noi. Ma quello che lascia intuire la porta di accesso è ben poca cosa rispetto a quello che appare una volta entrati. Basta fare un passo all’interno, pochi secondi che la vista si abitui alla penombra e si viene colti da un evidente sensazione di incredulità. Grandi figure femminili sembrano prender vita dalle pareti. Le fate del Ninfeo di Masseria Papaleo. ...» (testo di Massimo Negro).
Bibliografia e Sitografia

https://www.leccenews24.it/attualita/ninfeo-delle-fate-lecce.htm

Articoli di approfondimento

CITTÀ

PROVINCIA

REGIONE

EPOCA

XVIII sec.

STATO DI CONSERVAZIONE

Discreto

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