Poggiorsini (castello del Garagnone)

CENNI STORICI

Le Murge si interrompono bruscamente dinanzi alla piana che congiunge Spinazzola a Gravina, e creano un fronte continuo, inciso di tanto in tanto dalle lame che conducono dalla valle all’altopiano. La metà di questo fronte è segnata da uno sperone di roccia, che domina la valle e controlla gli accessi alle lame. Questa punta di roccia tagliata in cima (come talvolta sono le rocce dei western classici) è il Garagnone. Qui sorgeva un castello e, forse, si stendeva una città. Il tempo ha fuso nella stessa sagoma i ruderi del castello e l’alzato roccioso; della città, invece, resistono il ricordo, qualche favola collegata alle fonti, che non mancano nella valle, il rovello di chi cerca la Silvium romana, lungo la via Appia fra Venosa e Gravina.

Del Garagnone si sono occupati Nino Colonna e Giuseppe Pupillo, per scongiurare una vendita miseranda da parte dell’amministrazione di Altamura, e ha scritto una sintesi ineccepibile Franco Porsia. Nel corso del 1992 se ne è occupato anche un gruppo di studenti di Storia economica e sociale del Medioevo dell’Università di Bari. Questo è il resoconto della sua ricerca sulle fonti scritte (fra parentesi sono segnalati i riferimenti alle schede). Una esercitazione di missili terra-terra ha impedito che la ricerca fosse completata da una ricognizione sul territorio.

La rocca del Garagnone guarda il confine fra due ecosistemi totalmente diversi. Alle sue spalle, in direzione dell’Adriatico, ci sono le Murge alte, terre di rocce affioranti e ricoperte da boschi, in età romana. Oggi sono brulle e, durante il medioevo e l’età moderna, furono luogo di pascolo. Di fronte si stendono terre pianeggianti e poco mosse, attraversate da corsi d’acqua (il Roviniero e il Basentello) che un tempo avevano una portata maggiore, e - dicono alcuni - permettevano a qualche imbarcazione di risalire dal Mar Ionio. Infatti la direzione di questa valle è verso sud, e seguendo questa antica corrente di traffici i romani costruirono la via Appia. Diodoro Siculo e Livio scrivono di una città peuceta esistente nella valle. Iscrizioni sacre e profane, lette in passato, alcune delle quali ormai perdute, testimoniano insediamenti e culti dì età romana. Manca uni puntuale conferma archeologica delle ipotesi. Di fatto, Silvium nessuno sa con precisione dove sia (1-5).

Robertus Guaragna è uno dei cavalieri normanni, giunti per primi in Italia meridionale (6). È testimoniato nel 1048. È l’attestazione più antica, che si potrebbe riferire al toponimo. Altre località, che successivamente fecero parte dei feudo del Garagnone, si trovano citate in documenti di età normanna (7). Al principio del secolo XII un Rogerius Varannoni (discendente di Guaragna?) è attestato a Terlizzi. È un normanno che sale poco dopo i gradi della gerarchia: infatti, nel 1148 diventa signore di Birgonia, un casale del terlizzese. Il suo feudo è elencato nel Catalogus Baronum, e nel 1159 è venduto da Parisius, il figlio di Rogerius a Girino, dominatore di Andria (8-11).

Il conte di Andria tenta di estendere il suo dominio nella regione anche con la forza: se ne accerta Tancredi, nel 1192, a proposito della torre di Maraldo, sita nel territorio del Garagnone, su denuncia dell’abate di Venosa (13). Ma il duca si è impadronito di tutto il territorio e, approfittando della successione incerta a Guglielmo II, tenta di ribellarsi. Sconfitto e ucciso (la storia della sua rivolta è narrata da Riccardo di San Germano al principio della sua cronaca), il suo feudo viene ceduto ai Gerosolimitani da Enrico VI, nel 1195 (14-16).

I Gerosolimitani sono giunti a Barletta nel 1179 (12). Hanno scelto la città per vari motivi, fra i quali l’opportunità di farne un porto granario per le spedizioni crociate. Gli ordini cavallereschi sono interessatissimi alla produzione cerealicola: di qui la presumibile richiesta per la concessione del feudo. Con loro si apre una nuova storia per la valle, legata ad un nuovo asse che, attraverso le lame, punta diritta verso nord, verso Andria, Barletta e i1 mar Adriatico, passando magari da Corato (24). Il castrum del Garagnone è un ottimo punto di controllo della produzione e del traffico.

Del Garagnone si riparla nel 1220: è uno dei castelli che Federico II proclama di aver edificato a fundamentis. In realtà lo ha ricostruito o riadattato. Insieme col castello è citata una domus, una residenza alla cui manutenzione sono tenuti gli homines di Auricarro, di Valenzano e dello stesso Garagnone. Il castello fa parte di un complesso difensivo e di controllo: alle sue spalle c’è Castel del Monte; di fronte, a guardia della Basilicata, i castelli di Palazzo San Gervasio e di Monte Serico (18, 20, 21). Due giudici del Garagnone attestano che non tutti, nel feudo, facevano i contadini (19). I disordini successivi alla morte di Federico II colpiscono duramente il feudo. Matteo Spinelli racconta che venne saccheggiato: anche se falsi i suoi Diurnali possono aver attinto ad una fonte scomparsa. E, comunque, appaiono confermati: nel 1268 il Garagnone aderisce al fronte svevo di Corradino e lo segue nella sua sconfitta, venendo duramente punito da Carlo d’Angiò (23).

Le cedole della tassazione angioina accompagnano la storia del feudo per tre quarti di secolo. Esse cominciano con una tassazione traumatica ed eccessiva (la punizione degli Angiò): ma poi si attestano sul valore di 23 once d’oro circa, attraversando immutate i cambiamenti e le traversie della regione, fino a meta XIV secolo. Infatti durante questo periodo la vita del feudo è alquanto movimentata. Carlo d’Angiò tenta di revocarlo ai Gerosolimitani, poi lo riconferma definitivamente nel 1283 (ma probabilmente era una mossa per spillare quattrini all’ordine (31 e 34). Viene conteso da Gravina e Montepeloso; attaccato e incendiato dal duca d’Andria (39-41). I suoi pascoli sono oggetto del desiderio dei proprietari di armenti barlettani (35 e 36). Finalmente un inventario del 1324 ci avverte che i Gerosolimitani hanno ceduto il feudo: anche se non ci lascia intendere né quando, né perché (45).

Ci sono alcune costanti di questo periodo. I flussi innanzi tutto: tutte le notizie attestano traffici di cereali verso Barletta. Questa sembra essere la fonte di ricchezza principale del feudo (29, 41 e 42). Il feudo, come al tempo dei re normanni, continua ad essere esente dal servizio militare. Compaiono gli uomini del Garagnone: sono detti homines (37) e difendono vigorosamente i loro diritti nei confronti degli abitanti dei territori confinanti; sono chiamati cittadini da Domenico da Gravina (46); abitanti di una universitas in una cedola del 1277 (33). Non si sa, però, dove abitavano: in un casale, distante dal castello (forse l’attuale Poggiorsini; o presso gli insediamenti rupestri di Grottellini, più vicino a Spinazzola); o ai piedi della rocca, dove ora sorge la masseria Melodia; o in insediamenti sparsi per tutta la vallata.

Al 1348 risale l’ultima cedola di tassazione in nostro possesso: è di sole 11 once. È probabilmente, la testimonianza di una crisi (la peste, le guerre di cui parla Domenico da Gravina?). Certamente, varcata la metà del secolo, finiscono le notizie che presuppongono un ruolo autonomo del Garagnone. Passa nell’orbita di Gravina e Altamura, oggetto di una disputa secolare fra le due città. Alla fine dei secolo un notaio di Barletta afferma di essere figlio di Guerriero de Garagnone (50); e nella stessa città troviamo Giampaolo di Garagnone, zappatore (52). Sono le ultime testimonianze dì quella storia aperta con i Gerosolimitani (lo forse già con i signori di Andria), legata ai cereali e all’Adriatico.

La storia successiva vede il riaffermarsi della più antica via, quella da nord a sud, che appare più consona ai ritmi della pastorizia e della transumanza. Vede emergere l’importanza della Murgia, alle spalle dei castello (come si legge nel complesso di jazzi sulle colline che lo circondano). Gli altamurani percorrono un lungo cammino, per andare a coltivarlo; ma vi allevano anche ovini e suini (54, 56, 59). Trovano conveniente (per evitare di pagare le tasse cittadine) risiedere ad Altamura, compiendo migrazioni periodiche nel Garagnone, dando origine ad una originalissima transumanza, di contadini e pastori.

La documentazione successiva testimonia queste liti fiscali: di Altamura, che vede sfuggirsi una quota consistente di tributi (qualche migliaio di persone vivono dei proventi della valle); dei feudatari del Garagnone, per far pagare a contadini e pastori i dazi dei pane, e altre fiscalità. Testimonia continui passaggi e vendite, fino al possesso dei Mazzacara, signori di Lucera, ricchi di greggi ovine; fino al terremoto, che abbatte il castello nel XVIII secolo e all’abbandono definitivo.

Sulla base dello studio di Colonna e Pupillo (Altamura e il Garagnone. Storia di un privilegio, Altamura 1983) il gruppo di lavoro ha consultato i Registri Angioini (i primi 35 volumi); i volumi del Codice Diplomatico Pugliese; le cronache di Riccardo di San Germano e di Domenico da Gravina (nelle edizioni, rispettivamente, dei MGH e RIS); le opere di Nardone, Porsia, Fuzio e Jatta, citate nello studio di Colonna e Pupillo. Lo stesso Pupillo ha fornito preziose conoscenze, tratte da Rècueil des actes des chefs des normands d’Italie.

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