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Nonantola medievale

«[…] La varietà delle testimonianze storiche è pressoché infinita.

Tutto ciò che l’uomo dice o scrive, tutto ciò che costruisce,

tutto ciò che sfiora, può e deve fornire informazioni su di lui […]».

Marc Bloch, Apologia della storia o Mestiere di storico

Marc Bloch, nella sua “Apologia della Storia”, parlava di Bruges e dell’insabbiamento del golfo dello Zwin nel X secolo, mettendo in relazione l’attività dell’insediamento e il fenomeno idrogeologico nell’analisi della crescita e del declino commerciale della città.

Lo storico si interrogava su quale dovesse essere la disciplina più adatta allo studio del fatto, arrivando alla conclusione per cui nessun fenomeno fisico e naturale, quando interessa dei costrutti umani, può essere studiato “a sé”, ma deve essere rapportato all’azione umana. Nessuna scienza, se non la storia, è costretta a «[…] usare simultaneamente tanti strumenti diversi […]»: la storia è la disciplina che studia l’uomo nel tempo e l’esempio citato si sposa particolarmente bene con il discorso che stiamo per affrontare. Parleremo infatti della trasformazione e dello sviluppo di una città medievale in rapporto alle terre e alle acque che la circondano, e di come le donne e gli uomini che l’abitavano interagirono con l’ambiente nella costruzione, nella trasformazione e nell’espansione della stessa.

Forse abbiamo puntato troppo in alto in questa breve introduzione: non ce ne voglia chi fa un utilizzo migliore degli scritti di Bloch. Cionondimeno, dovremo servircene almeno per un altro punto che si cercherà di evidenziare: lo storico francese, nel viaggiare per le campagne del Nord della Francia, rimaneva colpito dal disegno dei confini dei campi e avviava una profonda riflessione sulla mentalità contadina che andava ben oltre sistemazioni giuridiche tutto sommato recenti, fornendo spunti per ragionare addirittura su quale educazione dovettero avere i figli piccoli delle famiglie contadine e sull’impatto che ebbero i rapporti tra diverse generazioni nella trasformazione del territorio.

Noi cercheremo di occuparci di un mondo contadino, tradizionalista come diceva Bloch, ma anche capace di strutturarsi in modo funzionale e longevo, tanto da durare, nelle sue espressioni politiche e gestionali, fino ai giorni nostri. E non stupirà che sia stata necessaria un’indagine archeologica per lo studio di un passato istituzionalmente così strutturato: Nonantola è una comunità contadina, e come le altre non fa eccezione: i suoi documenti più antichi, conservati nell’archivio storico del Comune, risalgono solo alla fine del secolo XVIII.

La storia di Nonantola è da sempre fortemente legata alle terre e alle acque che la circondano: la cosa è chiara fin dall’analisi dei primi reperti risalenti all’età del bronzo.

Lo stesso nome della città (da Nonaginta, novanta) deriva dalla divisione in centurie dei terreni bonificati ad opera dei romani, aspetto sul quale non si insisterà per ragioni di sintesi.

Ci occuperemo del periodo medievale, al quale la comunità nonantolana deve molto, e del quale porta avanti alcune idee originali, adattandole di volta in volta ai tempi e valorizzandone ogni lascito.

Per iniziare in modo serio, citeremo lo scavo dell’Università Ca’ Foscari in piazza Liberazione, dal quale è emersa la chiesa medievale (XII secolo) di San Lorenzo, con annesso cimitero, demolita nel secolo XVI. Il perimetro della chiesetta è stato evidenziato dopo aver ricoperto lo scavo attentamente, in modo da lasciare traccia di un intervento delicatissimo di archeologia urbana, pur senza limitare la fruizione di spazi comuni.

Certo, la presenza dell’importantissima abbazia e dell’istituto della Partecipanza agraria hanno contribuito non poco al modellarsi dell’identità collettiva e uno dei monogrammi di Carlomagno, in un diploma conservato nel museo dell’abbazia, ha fornito idee lapalissiane alle attività commerciali limitrofe.

Non che i nonantolani manchino di autoironia: fino a non molti anni fa, mi raccontavano, sulla parete della chiesa della Beata Vergine della Rovere, santuario sconsacrato posto all’ingresso ovest dell’abitato, campeggiava un’iscrizione goliardica che recitava “benvenuti a Frìttole”, periodicamente cancellata e puntualmente riscritta. Il contenuto del messaggio era sicuramente scherzoso (neanche troppo), ma riflette un’abitudine tutta emiliana di affermare il proprio pensiero anche e soprattutto quando te lo censurano: sul muro dell’ospedale vecchio di Sant’Agostino a Modena, qualcuno scriveva continuamente “grazie a Dio non sono bolognese”, soprattutto quando il Comune faceva coprire il messaggio dagli imbianchini divertiti.

Goliardie a parte, a un occhio attento risalta subito come una delle attività economiche di un certo rilievo, posta immediatamente all’ingresso del paese, porti il nome di una delle più importanti famiglie della Partecipanza; come le espressioni dialettali richiamino a gran voce abitudini inveterate; come le testimonianze medievali, pur volendo fare un discorso a parte per l’abbazia, siano non solo ben conservate, ma ancora parte integrante di un tessuto cittadino in cui esistono ancora l’operosità e la solidarietà emiliane di una volta, connesse tra loro in modo così stretto da non produrre, nei dialetti della zona, alcun termine che designi precisamente lo sfaticato: si devono utilizzare iperboli come bôun ed gnìnta, il buono a nulla, o antifrasi tipo lavòr tanta rôba, che non c’è bisogno di tradurre.

Nonantola e i nonantolani meritano una menzione d’onore prima di iniziare, dato che abbiamo appena parlato di solidarietà, per la vicenda di Villa Emma: nel 1942, diversi ragazzi orfani di origine ebrea tedesca furono ospitati nella villa per un anno intero su iniziativa della DELASEM e furono fatti poi fuggire di nascosto in Svizzera con uno sforzo eroico di tutti i cittadini, che li salvarono così dalle angherie naziste successive all’8 settembre 1943.

Come dicevamo, la storia di Nonantola è legata a quella della sua abbazia.

Nel 752, Astolfo, re dei Longobardi da pochi anni, fece un atto di donazione a suo cugino Anselmo, nel quale erano compresi diversi beni e varie pertinenze territoriali.

Il documento ci è giunto, come spesso accade, in una copia più tarda rispetto all’originale perduto, ma gli elementi che lo costituiscono possono essere a buon diritto dichiarati fededegni.

I territori elencati nel documento gravitano intorno alla corte Gena, una proprietà agricola dai confini ben definiti, che presenta i tratti caratteristici del sistema curtense già in età longobarda.

Diversi scavi hanno dimostrato che la corte Gena era un’area probabilmente agricola, attraversata dal torrente Torbido, che scorreva nell’area dove ora sorge l’Abbazia.

In uno dei primi abitati esaminati negli scavi sono state trovate tracce di un torchio, di magazzini e altri ambienti legati ad attività produttive, adiacenti a un edificio religioso, già demolito e riutilizzato in età carolingia, e definitivamente cancellato dalla costruzione delle mura bolognesi nel XIV secolo.

Siamo quindi davanti a un modesto abitato sulle rive del torrente, i cui edifici dovevano essere stati fondati su preesistenti costruzioni di età romana riutilizzate, e realizzati con materiali deperibili su alzato in pietra o materiale laterizio.

La fondazione dell’Abbazia, che conobbe una certa fortuna, determinò una rapida trasformazione dell’abitato. Il monastero, già sul finire del secolo VIII, possedeva i territori degli attuali territori di Nonantola, Ravarino, Camposanto, Crevalcore, San Giovanni in Persiceto e Sant’Agata, e i monaci dell’abbazia iniziarono un’opera di bonifica che fu coadiuvata da fattori esogeni come un generale miglioramento climatico, un aumento della popolazione e importanti innovazioni tecniche in agricoltura. I canali vennero utilizzati non solo per irrigare, ma anche come fonti di energia cinetica per mulini e torchi. La domanda per i terreni coltivabili aumentò sensibilmente e l’abbazia seppe trarre vantaggio dalla rinnovata ricchezza dei suoi possedimenti.

A partire dal IX secolo, infatti, furono realizzati ambienti più pregevoli, in linea con la crescente notorietà dell’istituzione. La prima chiesa fu infatti demolita, facendo spazio a diverse attività artigianali (come la fornace, il cui utilizzo da parte dei monaci è attestato da embrici che riportano le abbreviazioni dei nomi tracciate con uno strumento appuntito prima della cottura), che scomparvero in seguito con la costruzione dello scriptorium e la ristrutturazione della residenza abbaziale.

Di particolare importanza, lo scriptorium nonantolano presentava decorazioni sulle pareti e ospitava una complessa manifattura di codici, come attestano i ritrovamenti di fermagli e altri elementi utili a fabbricare le chiusure dei tomi in età carolingia. L’eterogeneità dei ritrovamenti testimonia degli scambi con altri centri manifatturieri, e quindi di dialogo con altri centri di produzione libraria.

L’importanza dell’abbazia tra VIII e IX secolo è testimoniata da reperti certamente pregevoli, come il sigillo plumbeo di Ludovico II e le spoglie di San Silvestro, ancora patrono di Nonantola, che furono traslate intorno al secolo VIII da Roma ad opera dell’abate Anselmo, rendendo l’abbazia meta di pellegrinaggi.

Con il X secolo, l’abbazia conobbe un periodo di declino, certamente legato alla crisi del potere politico cui era profondamente legata, che determinò la perdita di autonomia dell’istituzione monastica.

All’inizio del secolo, Nonantola fu saccheggiata dagli Ungari. I monaci dell’abbazia si diedero alla fuga e, se l’abate Leopardo riuscì a mettersi in salvo, diversi suoi confratelli furono uccisi. Modena non fu espugnata, grazie alla solidità delle mura fatte racconciare il secolo prima dal vescovo Liduino e allo zelo dei giovani modenesi chiamati a fare da scolte e vedette, così come ci informa il “Ritmo delle scolte modenesi”.

Questi eventi determinarono delle trasformazioni strutturali sia del tessuto urbano che dell’edificio di culto nonantolani: l’abitato fortificato da fossati e palizzate viene indicato nelle fonti del X secolo come castrum Nonantule.

Se il secolo XI viene considerato un periodo di “svolta” un po’ in generale, ciò è particolarmente vero per Nonantola. Risale al 1058, difatti, la costituzione di un istituto tuttora vigente: la Partecipanza agraria.

Nel 1058, l’abate Gotescalco instaurò un legame singolare con le famiglie nonantolane maiores, mediocres e minores. L’abate concesse il privilegio (trasmissibile per via ereditaria) del godimento dei diritti fondamentali riguardanti la libertà delle persone e il diritto di uso della terra “con le selve e le paludi e i pascoli in essa compresi”. Per godere di questo diritto, l’abate chiedeva la residenza (clausola ad incolandum), la costruzione di tre quarti delle fortificazioni del borgo (mura e fossato, parte della clausola ad meliorandum) e la difesa del monastero e del territorio di Nonantola contro qualsiasi nemico.

La Partecipanza, una proprietà collettiva di terreni, esiste ancora oggi.

L’istituzione della Partecipanza fu anche l’occasione per il riempimento del canale Torbido, confine naturale dell’abbazia, che poté così allargarsi con il nuovo cenobio e la chiesa abbaziale, donando al centro l’aspetto che ha poi conservato nei secoli.

L’evento che più trasformò le strutture dell’abbazia e probabilmente dell’intero abitato nonantolano fu però il terremoto del 1117. Numerosi scavi hanno confermato lavori importanti dopo questa data, sia per la facciata che per la muratura, sebbene non comportarono una completa trasformazione dell’edificio. Quello che cambiò profondamente nel corso del XII secolo fu l’utilizzo dei terreni.

Dal 1152, dopo la rotta di Ficarolo, il Po abbandonava infatti il ramo di Ferrara per migrare verso il ramo di Venezia. Il Secchia e il Panaro, per le trasformazioni dovute alla diminuzione della forza dragante del Po e al conseguente interramento dei loro alvei, deviarono il loro corso verso Ovest. In questo modo, molti terreni videro cambiare la propria destinazione, diventando l’asse portante per progetti di valorizzazione agricola, come per l’appunto quelli delle Partecipanze agrarie.

Tra il XII e il XIII secolo, Modena e Bologna conobbero uno sviluppo e un dinamismo eccezionali, espandendosi nel contado. Nonantola fu prima controllata dai modenesi, che ricostruirono, intorno al 1261, una delle torri volute da Gotescalco nel 1058. Nonantola era ancora sprovvista di mura vere e proprie, quindi la fortificazione, di utilizzo prettamente militare, doveva stagliarsi solitaria sui fossati.

E fu forse per i parziali interramenti degli alvei di Secchia e Panaro, che il torrente Tiepido fu ragione di sventura per le truppe imperiali di Federico II nel 1249, alla Fossalta.

L’avanguardia guidata da re Enzo voleva attaccare dei bolognesi che costruivano un ponte sul Panaro, ma le forze imperiali furono colte di sorpresa dal grosso delle truppe bolognesi e, ripiegando, non riuscirono a manovrare perché il Tiepido (che è un torrente, quindi soggetto a queste dinamiche) era ingrossato, e furono massacrate.

Questo episodio, seppur indirettamente, ci racconta della profonda simbiosi tra gli abitanti del luogo e le acque: i bolognesi costruivano un ponte sul Panaro, che è un fiume e ha una portata stabile. In più, da qualche tempo era parzialmente interrato, come abbiamo visto: i bolognesi lavoravano in sicurezza.

Gli imperiali, vuoi per inesperienza dei luoghi, vuoi per pura e semplice tracotanza, non si curarono di lasciarsi alle spalle un torrente ingrossato: guardarono solo avanti e probabilmente si sentirono incoraggiati dal fatto che il terreno non presentasse particolari difficoltà in una carica. Furono però presi ai fianchi da truppe esperte, e fecero la fine che tutti conosciamo.

Per dovere di cronaca, l’alluvione di Nonantola del 2021 fu provocata proprio da un ingrossamento anomalo del torrente Tiepido.

Nel XIV secolo, più precisamente dal 1307, Nonantola passò sotto il controllo del comune di Bologna, che costruì la torre dei Bolognesi, anch’essa ancora visibile, in un sistema di fortificazioni edificate in materiale laterizio e consistente di un buon numero di torri e rivellini, corredato di ponti mobili per l’accesso all’abitato.

La torre fu trasformata in carcere nel secolo successivo, quando Nonantola passò sotto il dominio estense, essendo mutate le esigenze difensive dell’abitato. Dal 2007, la torre dei bolognesi ospita il museo di Nonantola.

Bibliografia essenziale:

  • AA. VV., Aquae. La gestione dell’acqua oltre l’Unità d’Italia nella pianura emiliana. Celebrazione del 525° anno dallo scavo del “Cavamento Foscaglia” 1487-2012, a cura di Silvia Marvelli, Marco Marchesini, Fabio Lambertini, Carla Zampighi, Bologna 2011.
  • AA. VV, Nonantola (6 volumi), a cura di Sauro Gelichi e Mauro Librenti, Firenze 2013 e l’edizione sintetica: AA. VV. Nonantola nel Medioevo, a cura di Mauro Librenti e Chiara Ansaloni, Modena 2020.
  • David Abulafia, Federico II, un imperatore medievale, Torino 1990.
  • Marc Bloch, Apologia della storia o Mestiere di storico (Piccola biblioteca Einaudi. Nuova serie Vol. 460). EINAUDI, Edizione del Kindle.
  • Ritmo delle scolte modenesi (O tu qui servas), in MGH, Poetae Vol. III, Berlino 1896, p. 703.

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