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Microstorie

Poma Santa Maria saccheggiata come la MSC Napoli

Nel 1607 una marsiliana si arenò nel lido di San Nicandro Garganico, tra Torre Mileto e Calarossa.

Uno dei cannoni della Poma Santa Maria esposti nel piazzale antistante Torre Mileto.

Tutti abbiamo assistito, in diretta TV, al saccheggio della porta-container MSC Napoli, naufragata nel Canale della Manica. Durante una fortissima mareggiata causata dall’uragano Kyrill, la Napoli si è incagliata nei pressi della costa del Devon vicino a Plymouth. Circa 200 dei 2.400 container trasportati sulla nave si sono arenati sulla costa. 

È accaduto il fatto singolare che migliaia di persone, invece di preoccuparsi dei danni ambientali provocati dal riversamento in mare del greggio trasportato dalla nave, si sono recate in spiaggia per raccogliere spasmodicamente tutto il materiale possibile. Nonostante la guardia costiera ammonisse a stare alla larga dai container portati a riva dalla corrente, la prospettiva di arraffare generi di vario tipo ha attirato tantissima gente proveniente da tutta la Gran Bretagna e persino dalla Francia. In fondo, una fortuna simile quando sarebbe capitata più?

Tanti ragazzi si sono precipitati nel Devon. Non sono andati lì per salvare i gabbiani con le piume incrostate di oro nero o per dare una mano a quanti stavano tentando di salvare l’ambiente. Anche loro come i grandi, si sono precipitati per “ripulire” il carico della nave-container colata a picco. È stato come partecipare ad una vera e propria caccia al tesoro. Si poteva aprire un container di pannolini e fare cilecca così come si poteva fare tombola aprendo un container con tante belle moto, le mitiche BMW da 22mila sterline cadauna.

Il “tesoro” della MSC Napoli comprendeva anche bottiglie di vino, prodotti di bellezza e profumi di marca, ricambi di auto, prodotti alimentari, barilotti, e tante altre cose, fra cui 200 tonnellate di greggio, fuoriuscito dai container che ha inquinato le acque e le spiagge. Ma più che la nafta, si è temuto il riversamento in mare di 150 cassoni di materiale altamente inquinante. Il cargo trasportava sostanze nocive come pesticidi e acido per batterie. Il timore era che la gente aprisse anche i container con sostanze chimiche pericolose per la salute pubblica.

        

Di fronte a scene di vero e proprio saccheggio, definite eufemisticamente «recupero di merci alla deriva», la polizia si è arresa e ha lasciato fare. Una legge della marina mercantile britannica del 1995 prevede che, in questi casi, prelevare merci naufragate non significa commettere reato. Ma le merci raccolte, se i legittimi proprietari ne faranno espressa richiesta, dovranno essere restituite. Spetterà all’ufficiale giudiziario «curatore del relitto» risolvere la questione della proprietà degli oggetti ripescati. Ecco perché la polizia, pur consapevole che l’avvertimento non avrebbe sortito un grande effetto, ha raccomandato a tutti “i prelevatori” di compilare un modulo, indicando i beni presi dai container.

«Se fossimo ai piedi del Vesuvio – ha commentato Enrico Franceschini su Repubblica – nessuno si meraviglierebbe: ma siamo nella civile Inghilterra. La riprova che, quando c’è da arraffare, tutto il mondo è paese».

Questa frase ha provocato la reazione indignata di Valeria Valente, assessore al Turismo del Comune di Napoli, che lo ha accusato di voler tener vivo uno stereotipo anacronistico: «Il saccheggio sulla spiaggia richiama, nella mente del giornalista, scenari napoletani; forse, e gli posso dare ragione, nella Napoli occupata dagli Alleati, un carro armato poteva essere smontato e rivenduto in pochi minuti, e la cosa poteva essere in modo oleografico raccontata da penne grandi e impietose come quelle di Curzio Malaparte. Ma sono passati oltre cinquant’anni, siamo in un altro secolo e riproporre certe immagini è inutile e sbagliato».

Non condividiamo l’indignazione “meridionalista” della Valente; il commento del cronista di Repubblica ha immediatamente evocato in noi il ricordo di una vicenda analoga accaduta nel 1607 sulle coste del Gargano Nord, in seguito all’affondamento, nei pressi di torre Mileto, di una nave denominata Poma Santa Maria.

Le fonti documentarie, da cui si evince la storia del saccheggio avvenuto nel lido di Santo Nicandro, sono state pubblicate da Antonio Russo nel volume Poma Santa Maria un naufragio del 1607 a torre Mileto,  per i tipi del Rosone, con un’interessante introduzione di Filippo Fiorentino.

La Poma era una marsiliana, un veliero mercantile di modeste proporzioni, che percorreva le vie marine dell’Adriatico, allora denominato Golfo di Venezia, trasportando merci da Corfù alla Serenissima.

Fra le merci imbarcate e disperse dopo il naufragio sulla costa antistante torre Mileto e torre Calarossa, oltre a generi di prima necessità come l’olio d’oliva e la farina, c’erano anche articoli di lusso come un grosso quantitativo di 1400 di pelli di montone che non risultavano caricate sulla marsiliana. Non risultavano imbarcati 12 cannoni e un numero imprecisato di archibugi. Un vero e proprio arsenale di armi, merce scottante che non figurava nella lista perché di contrabbando.

A differenza delle autorità inglesi, che non si sono preoccupate di recuperare il contenuto dei container, le merci razziate a Torre Mileto vennero prontamente recuperate dal commissario al contrabbando don Rodrigo di Salazar. Ben 80 persone, che avevano fatto la parte del leone nel saccheggio delle merci arenate, vennero arrestate, e costrette a consegnare la merce.

L’obiettivo del recupero delle merci, prelevate dagli abitanti di San Nicandro, Rodi, Cagnano, Ischitella, Carpino e Peschici, e poi vendute per ricavare fondi da versare al Tesoro del Vicereame, fu tenacemente perseguito dalle autorità spagnole, in particolare dal suddetto don Rodrigo, che fece incarcerare tutti coloro che avevano sottratto parte del carico naufragato. Egli rischiò addirittura il conflitto di competenze con le autorità locali che invece volevano assicurare il diritto di prelazione agli abitanti dell’Università. Sostenne caparbiamente le ragioni del proprio ufficio in rapporto a questo carico di merci della Poma Santa Maria.

Per le popolazioni del Gargano, l’affondamento sottocosta di un bastimento carico di merci rappresentava un evento provvidenziale, visto che nessuno aveva avanzato diritti legittimi, nemmeno Simon Batacchio, il “patron” della barca che, conscio delle sanzioni cui sarebbe incorso a causa della merce scottante, imbarcata clandestinamente a Corfù, aveva raggiunto subito Venezia, abbandonando il relitto al suo destino. Di qui il riversarsi della popolazione di tutti i centri del Gargano sulla spiaggia di Torre Mileto, per recuperare il materiale spiaggiato ritenuto proprietà nullius, cioè di nessuno.

Il disagio vissuto dalle classi povere del Promontorio in quel periodo era molto forte. La dominazione spagnola, che si esercitava esosamente attraverso il potere dei Viceré, aveva generato malcontento a causa di ruberie e imposte che prelevavano gran parte del reddito. Al clima di forte indigenza si aggiunse il pericolo di attacchi continui dal mare.

Una sequenza di edifici fortificati supportava la difesa costiera contro le continue razzie di cui si rendevano protagonisti corsari e pirati che militavano sotto le bandiere dell’Islam, ma anche predatori illirici che avevano le loro basi logistiche sulle coste albanesi. Nel 1606 Durazzo fu messa a ferro e fuoco dalle galee e dalle truppe inviate del viceré Alonso Pimentel de Herrera, conte di Bonavente, ma ciò non servì a scongiurare il pericolo delle razzie turchesche che, fortissimo nel Seicento, perdurò anche nel secolo successivo.

L’interesse del prof. Antonio Russo per la Poma Santa Maria è nato dopo che un gruppo di sub dei carabinieri di Taranto nel 1975 riportò a riva tre grossi cannoni, avvistati nelle acque antistanti la torre di vedetta e segnalati alla Soprintendenza Archeologica della Puglia. Probabilmente un’ulteriore immersione potrebbe portare alla luce altri 8 cannoni e gli archibugi ancora sommersi nel fondo della marsiliana.

    

Ma cosa fu recuperato nel relitto della marsiliana dai sommozzatori giunti da Peschici nel 1607, e che pretesero di essere compensati con un terzo del materiale riportato in superficie? Una balla di 1400 pelli, riconciate dagli artigiani di Peschici e Rodi per essere rivendute; quaranta cardovane (?); un’ancora; una gomena, i documenti di trasporto; un tabarro (cioè una cappa) di panno; dodici staia di farina rotti; alcune schiavine pelose (mantelli a ruota di pelliccia); uno staio d’olio; due cannoni (di cui si sono perdute le tracce).

Oggi, dopo varie peripezie e traslochi tra Palazzo Zaccagnino, il piazzale antistante il deposito della nettezza urbana e Palazzo Fioritto, i tre cannoni del XVII secolo, parte del carico trasportato dalla Poma Santa Maria affondata nelle acque di Torre Mileto il 24 marzo 1607, e ripescati nel 1975, sono stati postati nel piazzale antistante Torre Mileto.

La Torre, restaurata due anni fa dal Parco del Gargano e dal Comune di san Nicandro, è ancora in attesa di un’adeguata valorizzazione. Le torri che, dalla fine del Cinquecento, difesero le coste di Capitanata, hanno subito la medesima sorte: alcune restaurate, altre sgarrupate (come Calarossa e Sfinale), sono tutte “regolarmente chiuse” alla pubblica fruizione.

©2007 Teresa Maria Rauzino. Il presente saggio è stato pubblicato sul quotidiano «L’Attacco» del 15 febbraio 2007.

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