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Microstorie

L’ultima Festa


Pietro Sisto nel suo libro ”L’ultima festa”, edito da Progedit, racconta la “storia” del Carnevale in Puglia indagando gli aspetti antropologici e le profonde trasformazioni che, soprattutto nel Novecento, hanno accompagnato la festa in angoli diversi della regione, dalla più nota città di Putignano fino a Trani, Molfetta, Bitonto, Manfredonia e in centri “minori” come Peschici.
Il Carnevale a Putignano partiva dal 26 dicembre, giorno di Santo Stefano, in cui ci fu la traslazione da un’altra città delle reliquie del santo per preservarle dall’attacco dei Turchi. Era il 1394. La popolazione festeggiò, travestendosi in maschera. Lo faceva anche il 17 gennaio, festa di sant’Antonio Abate, che dava il via ufficiale al Carnevale, che proseguiva, il 2 febbraio, con la Candelora, fino ad arrivare al giovedì e al martedì grasso che chiudevano la festa.
Quattro erano gli animali che rappresentavano la ritualità del carnevale pugliese: l’asino, il maiale, il tacchino e l’orso. A Putignano era proprio la festa dell’orso che apriva (ed apre ancora oggi) i festeggiamenti. L’orso simboleggiava il risveglio della natura, e il propiziarsi la stagione favorevole perché il 2 febbraio prediceva il tempo buono se quel giorno il tempo era cattivo, e viceversa.
Dell’ “ultima festa” Sisto mette in luce non solo i riti più irriverenti, legati al divertimento, ai piaceri del corpo e alla gastronomia, ma anche il rovesciamento dei ruoli sociali, e lo scontro tra società laica e gerarchie ecclesiastiche che si opposero strenuamente, ma con scarsi risultati, allo spirito giocoso della società contadina.
Intriganti sono le osservazioni che Sisto fa sul modo in cui il Carnevale veniva osteggiato dalle autorità ecclesiastiche. Il Carnevale era un periodo in cui le licenziosità erano all’ordine del giorno, per cui la Chiesa “ufficiale” sentiva il dovere di intervenire, emanando degli editti che proibivano i comportamenti “lascivi”. Veri e propri editti vennero emanati dai monsignori delle varie diocesi pugliesi per bloccare queste manifestazioni di trivialità. A Trani si svolgeva la cosiddetta processione del Santo Membro, una vecchia statua di legno che rappresentava Priapo con il fallo (l’elemento “proibito” di questa divinità) sproporzionato rispetto al resto del corpo, e che arrivava fino all’altezza del mento. Ci volle l’intervento dell’arcivescovo Davanzati, da sempre impegnato nella lotta contro le superstizioni, fantasmi, vampiri e spettri, per bloccare definitivamente questo corteo blasfemo, cui probabilmente amavano accodarsi preti e frati. Priapo era un personaggio della mitologia greca, figlio di Afrodite. Rappresentava l’istinto, la forza sessuale maschile e la fertilità della natura.
Il Carnevale era una tradizione trasgressiva che i divieti non riuscirono a bloccare, sebbene la Chiesa cercasse di creare un’alternativa alla festa profana. Ci fu l’intervento dei Gesuiti che istituirono i “carnevaletti”, una sorta di 40 ore posizionate nei giorni in cui il Carnevale impazzava, dalla domenica al martedì grasso. Le chiese divennero una sorta di apparato teatrale, con luci e soavissime musiche. Si organizzavano bellissime processioni, si sparavano razzi, in grado di attirare più gente possibile.
Ma i vescovi non riuscivano a contenere il fenomeno.
Pietro Sisto racconta che a Molfetta, prima monsignor Fabrizio Antonio Salerni nel 1736, e poi mons. Celestino Orlandi nel 1757 minacciarono con un editto di scomunicare chi ballava scandalosamente. In questo caso ci fu l’intervento dell’Università di Molfetta che inoltrò un ricorso, firmato dal marchese Brancone, a Napoli. Il vescovo fu invitato a precisare quali fossero questi balli licenziosi. Il vescovo li descrisse minuziosamente, uno a uno. C’erano gli scelleratissimi balli del “zinsitto”, “dell’ignudo” e della “stoccata”. Il primo consisteva in una danza scandita dai comandi del maestro di ballo che, “dopo aver fatto disporre dietro di sé alternativamente uomini e donne” comandava loro di assumere posizioni “sempre più sconce e disoneste” (petto a petto, culo a culo, faccia a faccia, bocca a bocca). Nel secondo, il maestro di ballo ordinava a uomini e donne di spogliarsi lentamente nel corso delle danze che spesso si concludevano al buio, con una sorta di caccia alla donna, “qualche volta totalmente alla nuda”, al grido di “chi la trova, la trova!”. Nel ballo della “stoccata”, si simulava un duello tra un uomo e una donna. A perdere era sempre la donna che, colpita, cadeva per terra e veniva soccorsa dal cavaliere che se la portava a letto, tra gli applausi e le grida sconce e “stomachevoli” di tutti i presenti.
Erano balli decisamente licenziosi, che il vescovo Orlandi non poteva permettere nella sua Diocesi, perché costituivano fonte di eccitazione erotica per connubi proibiti talvolta favoriti dalle madri che volevano accasare le figlie in età da marito. Numerosi erano gli aborti, se il matrimonio riparatore veniva negato dai seduttori che le avevano ingravidate, durante le pazze serate “dell’ultima Festa”. Numerose erano le ragazze che, esattamente dopo 9 mesi dal Carnevale, mettevano al mondo dei neonati concepiti in quelle feste, e che venivano deposti nelle ruote dei conventi o “esposti” sui sagrati delle chiese.

Pietro Sisto cita un articolo “La vendemmia del Diavolo”, pubblicato nel 1938 da “Vita Cattolica” periodico ufficiale dell’Archidiocesi di Manfredonia, in cui l’editorialista descrive scandalizzato cosa avveniva in città “nei giorni detti del Carnevale”: «Mentre la Chiesa richiama i cristiani ai patimenti e alla morte del Redentore, molti si danno alla pazza e sfrenata allegrezza e ai disordini. Che avviene infatti in questi giorni nelle sale da ballo? Giovanetti rabbiosi, ragazze frenetiche non sanno rinunciare al turpe divertimento del ballo. Passioni roventi che si sviluppano e ardono; affetti pravi che si iniziano; mode turpi, nudismo, abbracciamenti disonesti che si fanno; peccati che si consumano nel bollore della danza e negli agitati ritrovi notturni; tresche che si svolgono; onore che spesso si perde; malizie che s’imparano; pericoli fisici: contatti di membra, sudori, fiati ecc., facile comunicazione di mali contaggiosi (sic) tanfo ributtante… ». E si chiede: «Come pretendono, poi, certi cristiani di regnare con Gesù Cristo, se vivono da pagani, o un giorno con Cristo e un giorno col Demonio?».



Teresa Maria Rauzino