
Cartoline dalle province
Craco (Cràchë in dialetto locale) è un comune di 587 abitanti della provincia di Matera in Basilicata. Fondato intorno al 540 d.C. da coloni greci, ha vissuto secoli di prosperità, diventando un importante centro strategico militare durante il regno di Federico II. Il torrione domina la valle dei due fiumi che scorrono paralleli, il Cavone e l’Agri, via privilegiata per chi tentava di penetrare l’interno.
Craco ha subito una serie di disastri naturali: frane, alluvioni e terremoti hanno portato all’evacuazione completa della popolazione nel 1980. L’esodo forzato iniziò negli anni Sessanta, quando il borgo contava quasi 2000 abitanti. Parte degli abitanti si spostò a valle, in località “Craco Peschiera”, ove fu trasferita la sede comunale.
il borgo, paradossalmente, è diventato più famoso come paese fantasma di quando era abitato. L’abbandono improvviso ha preservato il borgo, che oggi si presenta quasi intatto nella sua suggestiva bellezza con le strade deserte, gli edifici in rovina e il paesaggio circostante dominato dai calanchi lucani. Qui sembra che il tempo si sia fermato in un’atmosfera surreale, dove il silenzio è rotto solo dal volo e dal garrire degli uccelli.
Rappresenta una testimonianza affascinante della storia e della resilienza delle comunità italiane, offrendo ai visitatori un’esperienza unica tra le sue rovine cariche di mistero e bellezza.
E’ talmente particolare da essere stato inserito nel 2010 dalla World Monuments Fund nella lista dei monumenti mondiali da salvaguardare. WMF è un’organizzazione non profit con sede a New York, fondata nel 1965.
Grazie a donazioni e a raccolte di fondi, WMF coopera con i governi e le comunità locali per salvaguardare e conservare manufatti architettonici storici e siti di rilevanza storico-culturale in tutto il mondo, attraverso il lavoro sul campo, la promozione, la concessione di borse di studio e fondi per l’educazione e l’addestramento di esperti in loco.
A partire dal 2011, è possibile visitare Craco attraverso percorsi guidati istituiti dal Comune, permettendo ai visitatori di esplorare in sicurezza gli angoli più suggestivi del borgo.
Per chi desidera visitare Craco, è consigliabile informarsi sulle modalità di accesso e sulle visite guidate disponibili, in quanto l’area è soggetta a restrizioni per preservarne l’integrità, oltre che per motivi di sicurezza.
La storia
Craco ha origini antiche, con tracce risalenti all’VIII secolo a.C.. Fu probabile rifugio di coloni greci di Metaponto, che si trasferirono in territorio collinare per sfuggire alla malaria che imperversava nella pianura.
Successivamente fu un insediamento bizantino, dove nel X secolo i monaci basiliani favorirono lo sviluppo agricolo.
La prima citazione del nome risale al 1060, quando il territorio fu sottoposto all’autorità dell’arcivescovo Arnaldo di Tricarico, che lo chiamò «Graculum», ovvero “piccolo campo arato”.
Nel Medioevo, sotto i Normanni, divenne un centro militare strategico, con una struttura urbana che si espanse attorno a un torrione. Nel 1276 Craco divenne sede di una universitas. Nel XV secolo, si espanse intorno a quattro palazzi:
Palazzo Maronna, vicino al torrione, con ingresso monumentale in mattoni e con grande balcone terrazzato.
Palazzo Grossi, vicino alla chiesa madre, con un alto portale architravato, i piani superiori con volte a vela e decorati con motivi floreali o paesaggistici racchiusi in medaglioni, finestre e balconi con ringhiere in ferro battuto.
Palazzo Carbone, costruito a fine Quattrocento, fu rinnovato e ampliato nel Settecento.
Infine il Palazzo Simonetti.
Craco fu feudo di diverse famiglie nobiliari, tra cui i Sanseverino e i Vergara.

La resistenza ai Sanfedisti e al brigantaggio
Nel 1799, Craco partecipò attivamente ai moti della Repubblica Partenopea, movimento rivoluzionario di ispirazione giacobina, represso nel sangue dalle forze sanfediste guidate dal cardinale Ruffo. Questo primo episodio di ribellione segnò l’inizio di una lunga e travagliata storia di resistenza e coinvolgimento nei grandi conflitti politici e sociali che attraversarono il Mezzogiorno.
Dopo l’Unità d’Italia, Craco – come molti altri centri lucani – fu coinvolto nel fenomeno del brigantaggio, una guerra civile alimentata dalla delusione verso il nuovo Stato unitario e dal desiderio di restaurazione borbonica. L’8 novembre 1861, la banda di Carmine Crocco e del catalano José Borjès, dopo aver occupato e saccheggiato Salandra, si diresse verso Craco.
Secondo il racconto di Crocco, il loro ingresso nel paese fu accolto pacificamente: «A mezza via una processione di donne e fanciulli con a capo il curato Colla Croce […] venivano a chiedere clemenza per il loro paese e clemenza fu accordata».
Tuttavia, la versione di Borjès, riportata nel suo diario, suggerisce un quadro più complesso: «La popolazione intiera ci è venuta incontro; e malgrado di ciò, avvennero non pochi disordini». Queste discrepanze rivelano l’ambiguità delle testimonianze coeve e la difficoltà di ricostruire con esattezza le dinamiche di quegli eventi.
A confermare il clima di instabilità è anche il racconto del militare del Regio Esercito Giuseppe Bourelly, che, dopo la partenza della banda per Aliano, trovò Craco «saccheggiato e nel massimo disordine». Questi episodi testimoniano non solo il passaggio violento delle bande, ma anche la vulnerabilità delle comunità locali, spesso strette tra repressione statale e occupazione brigantesca.
In questo contesto si distinse Giuseppe Padovano, detto Cappuccino. Ex soldato borbonico, si diede alla macchia dopo l’Unità e divenne uno dei briganti più noti della zona tra Craco e Pisticci. Il suo soprannome derivava dalla frequentazione giovanile del monastero di Craco, dove aveva ricevuto una buona istruzione. In un ambiente dominato dall’analfabetismo, la sua cultura lo rese una figura carismatica. Non fu solo un predone, ma un simbolo di resistenza armata, la cui vicenda personale incarnò le contraddizioni dell’Italia postunitaria.
Set amato da registi di fama
Craco è un borgo fantasma, spettrale, noto per essere stato scelto come location per importanti set cinematografici. Diversi registi non hanno resistito al fascino di questa terra e l’hanno immortalata nei loro film: ad esempio ne “La passione di Cristo” (2004), Craco fu scelta da Mel Gibson come sfondo per la scena dell’impiccagione di Giuda. In “Cristo si è fermato a Eboli” (1979) Francesco Rosi vi ambienta l’arrivo di Carlo Levi al primo confino di Gagliano.
Altri film in cui appare Craco sono:“La lupa” (1953) di Alberto Lattuada; “Il tempo dell’inizio” (1974) di Luigi Di Gianni; “King David” (1985) di Bruce Beresford; “Oddio, ci siamo persi il papa” (1986) di Robert M. Young; “Il sole anche di notte” (1990) di Paolo e Vittorio Taviani; “Ninfa plebea” (1996) di Lina Wertmuller; “Terra bruciata” (1999) di Fabio Segatori; “Nativity” (2006) di Catherine Hardwicke; “The Big Question” (2004), diretto da Francesco Cabras e Alberto Molinari; “Agente 007 – Quantum of Solace” (2008), regia di Marc Forster, con Daniel Craig e Giancarlo Giannini; “Un medico di campagna” (2012)di Luigi Di Gianni; “Ci vediamo domani” (2013) di Andrea Zaccariello; “Montedoro” (2015) di Antonello Faretta e “France” (2021) di Bruno Dumont.

Rocco Papaleo, lucano, protagonista oltre che regista del film “Basilicata coast to coast”, (2010), ha affermato che Craco “non ha retto la modernità, anche se a noi piace pensare che l’ha rifiutata”.

Il sogno ispirato al film cult di Papaleo è diventato realtà: un itinerario escursionistico attrezzato lungo 167 km. Otto giorni a piedi (o in bici) attraversando 13 borghi, da Maratea a Nova Siri. Un viaggio lento, autentico, tutto lucano. Tra natura, sapori e cultura.
Teresa Maria Rauzino
su L’Edicola 11 maggio 2025
