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Cronologia della vita di Federico II di Svevia

FEDERICO II di Svevia IMPERATORE ROMANO
BREVE CRONOLOGIA
    

1194 – Il 26 dicembre Federico Ruggero nasce a Jesi da Enrico VI Hohenstaufen Imperatore del Sacro Romano Impero (figlio di Federico Barbarossa) e di Costanza (figlia primogenita postuma di Ruggero II d’Altavilla Re normanno di Sicilia).

Federico II nasce a Jesi sotto una tenda attrezzata, collocata nella piazza principale di Jesi. Immagine tratta dalla "Cronica figurata di Giovanni Villani". 
Federico II nasce a Jesi sotto una tenda attrezzata, collocata nella piazza principale di Jesi. Immagine tratta dalla “Cronica figurata di Giovanni Villani”. 


1197 – Prima di riprendere la via di Palermo, preoccupata per le insidie del viaggio, Costanza affida il figlioletto alle cure della duchessa di Spoleto. Federico sarà battezzato ad Assisi, alla stessa fonte che aveva visto San Francesco e Santa Chiara.

Pietro da Eboli, Costanza d’Altavilla e il neonato Federico II, miniatura, da Liber ad honorem Augusti, cod. 120 II, c. 138r, Burgeebibliothek, Berna.

– Il 28 settembre muore Enrico VI; e Costanza provvede a ricongiungersi con il figlio nella reggia di Palermo. 
1198 – Costanza fa incoronare Federico Re di Sicilia; lo pone sotto la tutela del neo eletto pontefice Innocenzo III e muore il 17 maggio. 
1198/1205 – Il dissesto politico ed istituzionale che segue l’estinzione della Casa d’Altavilla costringe il piccolo re Federico, abbandonato dai suoi tutori, ad una difficile infanzia a Palermo: una città cosmopolita dove si mescolavano cristiani, ebrei e musulmani provenienti da tutti i paesi del bacino del Mediterraneo e dalla Germania. Questa esperienza influirà molto sulla sua formazione. 
1205 – Ripristinato l’ordine, il Regno di Sicilia ritorna sotto l’influenza pontificia e Federico può riprendere la vita di Corte iniziando l’istruzione che gli compete; ma nel frattempo la situazione politica sia in Sicilia sia in Germania soffre di un rapido deterioramento a vantaggio delle vecchie classi feudali. 
1209 – Dietro suggerimento di Innocenzo III, Federico sposa Costanza d’Aragona che gli darà il primogenito Enrico;
Ottone IV di Brunswick è incoronato imperatore a Roma.  
1212 (-1220) – Federico si sposta per la prima volta verso l’Europa settentrionale. Attraversando l’Italia si rende conto dell’ostilità delle popolazioni lombarde, ancor memori delle vicende sofferte con il nonno Barbarossa; in Germania tenta di avvicinare i nobili riottosi ma evita il conflitto solo rinnovando esenzioni e prebende. 
1215 – Ottone di Brunswick tenta di unire le corone di Germania e di Sicilia ed entra in conflitto con Innocenzo III che lo depone e lo scomunica; dopo un lungo braccio di ferro diplomatico e militare Federico, che ha rinnovato fedeltà alla Chiesa e promesso di comandare una Crociata in Terra Santa, è incoronato ad Aquisgrana Re di Germania. 
1216 – Muore Innocenzo III e gli succede Onorio III. 
1220 – Rientrato in Italia, Federico II è incoronato imperatore da Onorio III. La promessa della Crociata non gli impedisce di proseguire verso la Sicilia dove lo attende l’ingrato compito di normalizzare la situazione politica e sociale. La lotta contro le baronie sicule dura tre lunghi anni, dal 1221 al 1223, ma si conclude con successo. 

Corona d'oro con croce d'oro del Sacro Romano Impero, (Vienna, presso il museo Kaiserliche Schatzkammer). Foto di Alberto Gentile
Corona d’oro con croce d’oro del Sacro Romano Impero, (Vienna, presso il museo Kaiserliche Schatzkammer). Foto di Alberto Gentile

1224 – Fondazione dell’Università di Napoli, il primo ateneo realmente laico e di Stato, che attira presto docenti e discepoli da ogni parte d’Europa. 
Federico II (1220-1245), incoronato imperatore da Onorio III (1216-1227), conferma le precedenti donazioni e giura fedeltà alla Santa Sede.   
1225 – Negoziati con la Curia romana per la Crociata e conseguente Trattato di San Germano che pone per la partenza il termine perentorio del 1227. Federico II sposa Isabella (o Jolanda) di Brienne che gli reca in dote la corona di Gerusalemme: una premessa che gli avrebbe agevolato la spedizione in Terra Santa. 

Federico II si sposa con Isabella Jolanda di Brienne, dalla cronica del Villani.

1226 – Federico II convoca la Dieta di Cremona per avviare la restaurazione del potere imperiale in Lombardia ed i Comuni lombardi rispondono rinnovando la Lega. 
1227 – Gregorio IX succede ad Onorio III. 
1227 – Federico II salpa da Brindisi per avviare la Crociata ma un’epidemia scoppiata a bordo, forse la peste, lo costringe al rientro. La spedizione è rinviata all’anno successivo, ma Gregorio IX non crede alla buona fede dell’imperatore e lo scomunica. 
1228/1229 – Federico II realizza la Crociata passata alla storia con il nome di “Crociata degli scomunicati” e conclusa, dopo una lunga trattativa diplomatica, del tutto pacificamente, senza spargimento di sangue. Nel mese di marzo, essendo scomunicato, si “auto incorona” a Gerusalemme. Ritornato in Italia, caccia le truppe pontificie che nel frattempo si erano infiltrate dei suoi territori del Regno di Sicilia. 
1230 – Federico fa pace con la Curia ed il pontefice ritira la scomunica. 
1235 (-1236) – Federico II si reca in Germania dove cerca di contrastare la ribellione del figlio Enrico re di Germania che si era alleato con i suoi nemici; il giovane sarà deposto ed incarcerato. 
1235 – Federico II sposa Isabella di Inghilterra, sorella di Enrico III, con l’intento di avvicinare i ricchi Guelfi dell’Isola. 
1235/1239 – Campagne di Federico II contro i Comuni lombardi: presa di Vicenza, fallito assedio di Brescia e battaglia di Cortenuova che rappresenta l’apogeo della sua gloria militare, festeggiato a Cremona come l’Imperatore dei Romani. 
1239 – Dopo le campagne militari di Lombardia e un lungo contenziodo diplomatico, Gregorio IX scomunica Federico II e convoca contro di lui un Concilio a Roma. Federico II si oppone all’iniziativa e ostacola l’arrivo dei prelati. Nel mare dell’Isola del Giglio la flotta imperiale intercetta le navi che trasportano i padri conciliari tedeschi e francesi: molti di loro sono uccisi, altri tratti prigionieri nel Regno di Sicilia. 
1240 – Nell’intento di superare definitivamente con la forza la resistenza della Curia, ultimo ostacolo al suo potere assoluto in Europa,  Federico II tenta la marcia su Roma ma rinuncia al progetto e ritorna in Sicilia; quindi si dedica alla Campagna di Romagna con la presa di Ravenna e l’assedio di Faenza.        
1243 – Innocenzo IV papa.
1244 – Innocenzo IV inizia con Federico II trattative di pace ma le interrompe e fugge a Lione.
1245 – Innocenzo IV celebra a Lione un Concilio nel corso del quale Federico II è deposto e scomunicato. 
1246 – Mentre la Corte è acquartierata a Grosseto, scatta contro Federico II una congiura che è scoperta il giorno di Pasqua. Essa era stata ordita in ambienti pontifici con la connivenza di alcuni importanti funzionari dell’Impero passati in campo avverso.

Salerno, Museo Diocesano, frammento di Exultet, probabilmente è stato realizzato nello scriptorium salernitano nel terzo decennio del XIII secolo. Il potere Temporale; Federico II legislatore.

1247 – Federico II si avvia a marciare su Lione ma è trattenuto dalla defezione di Parma che, tradizionalmente fedele all’Impero, si schiera dalla parte della Chiesa, complice il vescovo locale nipote del pontefice. Inizio dell’assedio di Parma.
1248- 18 febbraio, Federico II è sconfitto a Parma.
1250 – Secondo alcune fonti, Federico II sposa in punto di morte Bianca Lancia che gli aveva dato il figlio Manfredi, la figlia Costanza e, forse, Violante.
Il 13 dicembre muore nel Castello di Fiorentino.
1251 – Nonostante la scomunica Federico II — morto con i conforti religiosi — è sepolto nella cattedrale di Palermo.

Bibliografia:

  • David Abulafia, Federico II. Un imperatore medievale, Enaudi, Torino, 1993.
  • Eberhart Horst, Federico II di Svevia L’imperatore filosofo e poeta, Rizzoli Supersaggi, Milano, 1994.
  • Pietro Corrao, Il regno di Sicilia e la dinastia sveva, in Storia Medievale (pag. 354 –356), Donzelli Editore Roma 1998.
  • Fulvio Delle Donne, Federico II e la Crociata della Pace, Carrocci Editore, 2022


 ©2024 Alberto Gentile

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Papa Innocenzo III

Innocenzo III, Lotario figlio di Transmondo dei conti di Segni, nacque nel 1160 a Gavignano in provincia di Roma, salì al soglio pontificio a soli 38 anni, dopo il quasi centenario Celestino III. Fu papa dall’8 gennaio 1198 al 16 luglio 1216. Innocenzo III aveva studiato Teologia a Parigi, nella famosa scuola del monastero di S. Vittore e Diritto a Bologna, sotto la guida di Uguccione da Pisa. Innocenzo III, come nessun altro papa prima di lui, attuò il grande disegno di una sovranità universale sull’Occidente cristiano. Sotto il suo pontificato, durato 18 anni, la Chiesa raggiunse il punto più alto della sua autorità. Innocenzo III si mosse con la disinvoltura di un abile politico. Va detto che fu anche un uomo di preghiera e di ascesi.

Papa Innocenzo III – ritratto da Giuseppe Franchi.

Fu autore di diversi trattati di teologia morale, ascetica e di filosofia, nei quali cercò di dare un ordine sistematico alla dottrina del dominio del papato nelle cose spirituali e temporali, in un periodo di forti contrasti tra i due poteri.

Egli mirò a rafforzare l’autorità pontificia nel mondo cattolico, realizzando una riforma morale e disciplinare della Chiesa. Approvò solo oralmente la regola di San Francesco d’Assisi. A tale proposito si tramanda il celebre episodio rappresentato nel ciclo degli affreschi di Giotto della Basilica Superiore di Assisi. I dubbi di Innocenzo III furono fugati da un sogno: il papa vide la chiesa di S. Giovanni in Laterano pericolante sostenuta solo dal Poverello d’Assisi. 

Il Sogno di Innocenzo III – Giotto – Basilica Superiore di Assisi

Dopo la morte di Enrico VI, Innocenzo III diventò l’arbitro indiscusso della politica europea visto che alla successione imperiale era strettamente legato il destino del regno di Sicilia. Il pontefice, temendo le mire di riunificazione degli Hohenstaufen, all’inizio sostenne le ragioni del guelfo Ottone di Brunswick, che aveva promesso di rinunciare ai diritti imperiali in Italia. Poi, impressionato dalle vittorie di Filippo di Svevia, iniziò a spostare i suoi favori verso quest’ultimo. Ma, quando, lo Svevo fu ucciso, acconsentì all’incoronazione di Ottone, eletto re di Germania. Il nuovo imperatore, una volta incoronato, dimenticò le sue promesse e inizio ad interessarsi del Regno di Sicilia. Il papa non glielo permise e lo scomunicò.

Papa Innocenzo III fu il tutore di Federico II di Svevia nei suoi primi anni di vita, dopo la morte della madre Costanza d’Altavilla. 

Busto del giovane Federico II. Museo Provinciale Campano, Capua

A lui si devono la quarta e la quinta crociata contro i musulmani. Animato da rispetto per l’ortodossia, combatté gli albigesi in Francia e scatenò una vera e propria caccia al cristiano eretico. 

La morte lo colse a Perugia per un attacco di febbre e fu sepolto nella cattedrale.

Bibliografia:

  • Ernst Kantorowicz, Federico II di Svevia, Garzanti, Milano, 1939 e successive edizioni dal 1976 con il titolo Federico II imperatore.
  • Maccarone, Michele, Nuovi studi su Innocenzo III, éd. Roberto Lambertini, Rome, Istituto storico italiano per il Medio Evo, 1995.
  • Eberhard Horst, Federico II di Svevia. L’imperatore filosofo e poeta, Rizzoli, Milano, 1981.
  • Wolfgang Stürner, Federico II e l’apogeo dell’impero, Salerno editrice, Roma 2009).
  • John W. O’Malley – Storia dei papi – Campo dei Fiori. 17-11-2011

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Costanza d’Altavilla

Costanza d’Altavilla, figlia di Ruggero II primo re di Sicilia e della terza moglie Beatrice di Rethel, nacque, molto probabilmente, a Palermo il 2 novembre del 1154, otto mesi dopo la morte del padre; nel frattempo il fratello Guglielmo successe al padre sul trono di Sicilia. Costanza trascorse la sua infanzia sotto le amorevoli cure della madre e frequentando la multietnica Corte di Sicilia.

Secondo alcune leggende popolari, poi avvalorate da alcuni cronisti di matrice antisveva, trasmessa anche da Giovanni Villani e da Dante (“leggenda del monacato”, Dante Divina Commedia (Paradiso, III, 113 ss.), Costanza sarebbe stata attratta dalla vita monastica e sarebbe entrata in un convento. A partire dal secolo XIV vari monasteri si contesero l’onore di aver ospitato tra le loro mura la nobile Costanza, come monaca se non addirittura come badessa. 

Contro questa leggenda che si tramandò per anni dal sec. XVI iniziarono a porsi delle obbiezioni. Sicuramente Costanza ebbe una vita riservata ed è certo che a trent’anni non era ancora sposata, fatto che era insolito per una principessa del suo rango.

Nel 1184 un accordo stabilì il fidanzamento di Costanza con Enrico, figlio dell’imperatore Barbarossa; il matrimonio venne celebrato due anni dopo, nel 1186, a Milano.

Ancora oggi non è chiaro chi sia stato l’artefice principale di questo accordo. Recentemente l’iniziativa è stata attribuita a Guglielmo II, che si sarebbe servito anche della mediazione del re d’Inghilterra. Forse il sovrano di Sicilia vide questo accordo nella prospettiva di dare un erede normanno al trono di Sicilia. Non si può escludere che l’iniziativa sia partita dalla corte sveva, infatti Federico I già in passato aveva tentato un approccio, ma senza successo. 

Il matrimonio di Costanza d’Altavilla con Enrico di Svevia, miniatura tratta dal codice Chigi.

Con questa unione i Normanni, spesso alleati dei pontefici romani, si legavano alla principale famiglia ghibellina, ostile al papato. Prima del matrimonio, Guglielmo II, che non aveva eredi maschi, designò la zia Costanza a sua erede obbligando la nobiltà del regno di Sicilia a giurarle fedeltà. Alla morte del re però i baroni e il papato, opposti agli Svevi, preferirono eleggere a re di Sicilia Tancredi di Lecce. 

Quando Enrico successe nel trono al padre (1191), decise subito di riconquistare il Regno di Sicilia, supportato anche dalla flotta della Repubblica pisana, da sempre fedele all’imperatore. Tuttavia, la flotta siciliana riuscì a battere la flotta pisana; l’esercito di Enrico, anche a causa di una serie di eventi sfortunati (fra tutti una pestilenza), fu decimato. Inoltre, Tancredi riuscì a catturare a Salerno la zia Costanza, impose ad Enrico come riscatto un accordo di tregua. Alla morte di Tancredi Enrico tornò in Italia riuscendo a sottomettere il Regno di Sicilia, al quale fu incoronato il 25 dicembre 1194. 

Costanza, a sua volta, fu incoronata imperatrice del Sacro Romano Impero a Roma nel 1191, complice l’affermazione di Enrico VI e la nascita di Federico a Jesi nel 1194, può finalmente tornare a Palermo come madre e regina di Sicilia.

Enrico VI e Costanza (Liber ad honorem Augusti, Pietro da Eboli, 1196)

Quando muore Enrico VI, nel 1197, è Costanza a governare il regno, e riesce a controllarlo nonostante le forti tensioni fra i tedeschi, posti dal marito nei punti chiave dello stato, ed i funzionari normanni.

Prima di morire, l’anno successivo, Costanza lascia tutore del figlio papa Innocenzo III. Con questa mossa, ella assicura la sopravvivenza del figlio e la sua folgorante carriera nel regno di Sicilia e nell’Impero.

Bibliografia:

  • Ernst Kantorowicz, Federico II di Svevia, Garzanti, Milano, 1939 e successive edizioni dal 1976 con il titolo Federico II imperatore.
  • John Julius Norwich, Il regno del sole, vol. II, Mursia, Milano 1972.
  • Eberhard Horst, Federico II di Svevia. L’imperatore filosofo e poeta, Rizzoli, Milano, 1981. 
  • David Abulafia, Federico II. Un imperatore medievale, Einaudi, Torino 1990).
  • Wolfgang Stürner, Federico II e l’apogeo dell’impero, Salerno editrice, Roma 2009).
  • Hubert Houben, Federico II. Imperatore, uomo, mito, il Mulino, Bologna, 2009. 
  • Fulvio Delle Donne, L’elaborazione dell’immagine di Costanza d’Altavilla nel Due e Trecento. Incroci di tradizioni tra cronache meridionali e centro-settentrionali, tra Dante e Boccaccio, in «Reti Medievali. Rivista», 21 (2020), pp. 127-143.

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Papa Celestino III

Celestino III, nato Giacinto Bobone Orsini (ca. 1106 – 8 gennaio 1198), fu Papa dal 1191 al 1198.

Celestino nacque nella nobile famiglia degli Orsini, e venne eletto Papa il 30 marzo 1191, quando era solo un diacono. Ricevette l’ordine sacerdotale il 13 aprile e governò la Chiesa per sei anni, nove mesi e nove giorni (anche se si ritiene che avesse 90 anni al momento dell’elezione) e morì l’8 gennaio 1198. Venne seppellito in Laterano. Il giorno seguente la sua elezione Celestino incoronò l’imperatore Enrico VI, con una cerimonia che simboleggiava la supremazia assoluta di quest’ultimo.

Enrico VI e Celestino III – contenuta nel Liber ad honorem Augusti di Pietro da Eboli
(1196, Biblioteca della Borghesia di Berna).

Questo secondo quanto descritto da Roger Hoveden, cui da credito Baronius, ma non Natalis Alexander. Quando Enrico VI fece uccidere il vescovo di Liegi Alberto di Lovanio il papa non osò protestare e quando, sempre Enrico VI, fece prigioniero Riccardo Cuor di Leone, costringendolo a sborsare un favoloso riscatto, Celestino III non utilizzò l’arma della scomunica nei confronti dell’imperatore, si dice per paura, mentre scomunicò il duca Leopoldo d’Austria, che aveva in custodia il Cuor di Leone. Nel 1192 Celestino III confermò lo statuto dell’Ordine dei Cavalieri Teutonici. Poco prima di morire espresse l’intenzione di abdicare indicando un successore ma i cardinali non glielo permisero.

Bibliografia:

John W. O’Malley – Storia dei papi – Campo dei Fiori. 17-11-2011

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Filippo di Svevia

Filippo di Hohenstaufen (Italia del nord, agosto 1177 – Bamberga, 21 giugno 1208) era l’ultimogenito di Federico Barbarossa e Beatrice di Borgogna (figlia di Rinaldo III di Borgogna, conte dell’Alta Borgogna) e fratello dell’imperatore Enrico VI.

Il giovane Filippo ebbe come precettore il celebre Archipoetaun di Colonia, che si occupò della sua educazione. Da subito fu indirizzato alla vita ecclesiastica e divenne prevosto di Aix-la-Chapelle. Nel 1191 venne nominato Vescovo di Würzburg, ma questa elezione fu palesemente contrastata a causa della sua giovane età.

A Filippo, in realtà, fu imposto, per motivi dinastici, di rinunciare alla carriera ecclesiastica perché dall’unione di suo fratello Enrico VI con Costanza d’Altavilla si temeva non potessero nascere eredi, a causa dell’età di Costanza.Filippo, abbandonata la vita ecclesiastica, nel 1195, venne nominato Duca di Toscana, ricevendo in dotazione i territori che erano appartenuti a Matilde di Canossa. Nel 1196, alla morte del fratello Corrado, divenne Duca di Svevia e l’anno successivo sposò Irene Angelo, figlia dell’imperatore bizantino Isacco II, la quale assunse per sé il nome di Maria. Si trattava di una donna bellissima che venne descritta da Walther von der Vogelweide come una “Rosa senza spine, colomba senza inganno”.

Dalla loro unione nacquero solo figlie (vedi nota 1)

Dopo l’improvvisa morte del fratello Enrico VI, che lasciava come erede al trono germanico il giovane Federico di soli tre anni, scoppiarono notevoli disordini fra coloro che disapprovavano un re non ancora maggiorenne. Va ricordato, inoltre, che nel 1197 Filippo ebbe incarico di prelevare il piccolo Federico II a Foligno, ove era ospite di Corrado di Urslingen, e di condurlo ad Aquisgrana per l’incoronazione, tale missione non gli riuscì a causa delle ribellioni contro il dominio tedesco scoppiate nel nord Italia, e con grandi difficoltà Filippo riuscì a tornare in Germania. Per difendere gli interessi della casata sveva, Filippo acconsentì ad essere eletto re e venne incoronato l’8 settembre 1198, divenendo così il nuovo punto di riferimento dei ghibellini. Il partito guelfo aveva sostenuto, senza successo, la candidatura di Ottone, secondo figlio di Enrico il Leone, duca di Sassonia. 

Filippo, dopo la morte di Costanza D’Altavilla il 28 novembre 1198, si considerò tutore di Federico rivendicando la reggenza nel Regno di Sicilia, per realizzare la volontà espressa da Enrico VI di unire il regno di Sicilia all’Impero, ma ciò lo portò in conflitto con papa Innocenzo III. 

Filippo di Svevia

Nella guerra scatenatasi in seguito all’incoronazione, Filippo si schierò a suo favore il re di Francia, Filippo II, mentre vi si oppose la monarchia inglese che era, invece, imparentata con Ottone (vedi nota 2). 

Papa Innocenzo III si schierò a favore della fazione guelfa che venne però definitivamente sconfitta il 27 luglio 1206 nella battaglia di Wassenberg. Quando anche l’Arcivescovo di Colonia Adolfo, che fino ad allora aveva sostenuto la causa guelfa, passò dalla sua parte, Filippo fu nuovamente e definitivamente incoronato.

Il 21 giugno 1208 Filippo morì assassinato a Bamberga, pugnalato dal conte Otto von Wittelsbach, un nipote del Duca Ottone I di Baviera, forse per motivi personali.

Con Ottone, unico monarca eletto, Papa Innocenzo III – che aveva inizialmente sostenuto i Guelfi – arrivò a schierarsi in favore del giovane Federico II e del suo alleato, il re Filippo II di Francia, che sconfisse Ottone IV nel 1214, nella celebre battaglia di Bouvines.
Federico, tornato in Germania nel 1212 dalla Sicilia, fu eletto re nel 1215.

Bibliografia:
• BBernd Schütte, Filippo di Svevia, Re di Germania, Enciclopedia Federiciana Treccani.
• Errico Cuozzo, Normanni e Svevi nel Mezzogiorno d’Italia.
• Eberhard Horst, Federico II di Svevia.

nota 1: Maria, che sposò il duca Enrico II di Brabante; Beatrice, moglie di re Ottone IV; Cunegonda, che si unì in matrimonio con re Venceslao I di Boemia; e un’altra Beatrice, moglie di re Ferdinando III di Castiglia.
nota 2: Ottone era figlio di Enrico il Leone e di Matilde figlia del re Plantageneto Enrico II d’Inghilterra.

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Enrico VI di Svevia

Enrico, nacque alla fine dell’anno 1165 a Nimega (ora Nijmegen in territorio olandese), dell’imponente Federico I Barbarossa e Beatrice di Borgogna, fu presto incoronato re dei tedeschi dall’arcivescovo di Colonia ad Aquisgrana nell’agosto del 1170 e dopo la morte del padre imperatore (del 1191). 

Il giovane Enrico fu bene istruito, conosceva bene il latino, aveva ben appreso il diritto romano e il diritto canonico, era interessato all’arte e alle scienze. Secondo alcune fonti furono suoi precettori Konrad von Querfurt e Goffredo da Viterbo. 

Molti storici ritengono che la chiave per le sue ambizioni espansionistiche fu il Regno di Sicilia, che poi comprendeva tutta l’Italia a sud di Roma e alcune aree costiere del Mediterraneo nei Balcani e Nord Africa; gran parte dell’Italia del nord faceva già parte dell’impero.

Il 29 ottobre 1184 ad Augusta fu reso noto l’accordo tra Federico I ed il re di Sicilia Guglielmo II relativo al fidanzamento di Enrico con Costanza d’Altavilla figlia postuma di Ruggero II di Sicilia. 

Nell’estate 1185 Costanza, accompagnata da uno stuolo di principi e baroni, partì da Palermo alla volta di Milano, dove dovevano celebrarsi le nozze.

Le nozze furono celebrate nella chiesa di Sant’Ambrogio, il 27 gennaio del 1186, papa Urbano III non presenziò alla cerimonia.  In quella occasione Enrico fu anche incoronato re d’Italia.

Il matrimonio di Costanza d’Altavilla con Enrico di Svevia, 
miniatura tratta dal codice Chigi.

Il matrimonio di Costanza con Enrico VI è stato fondamentale per l’acquisizione dell’Italia meridionale da parte della Casa sveva. Molto probabilmente se nel 1186 non si fosse celebrato questo matrimonio o se Guglielmo II avesse avuto un erede, l’Impero non avrebbe messo le mani sul Regno di Sicilia. 

Ancora oggi non è chiaro chi sia stato l’artefice principale di questo accordo. Recentemente l’iniziativa è stata attribuita a Guglielmo II, che si sarebbe servito anche della mediazione del re d’Inghilterra. Forse il sovrano di Sicilia vide questo accordo nella prospettiva di dare un erede normanno al trono di Sicilia. Non si può escludere che l’iniziativa sia partita dalla corte sveva, infatti Federico I già in passato aveva tentato un approccio, ma senza successo. 

Dopo aver sposato Costanza d’Altavilla Enrico rivendicò il diritto civile di essere il successore di Guglielmo II di Sicilia, morto senza eredi nel 1189, ma il nipote di Costanza Tancredi (nota 1), con l’appoggio della nobiltà siciliana, si arrogò il diritto al trono di Sicilia. In questo contesto, nel novembre 1189, Tancredi fu incoronato a Palermo Re di Sicilia. Papa Clemente III, che non vedeva di buon occhio un unico sovrano della casata degli Hohenstaufen dalla Germania alla Sicilia, approvò e riconobbe l’elezione. 

Quando Enrico VI successe nel trono al padre (1191), decise subito di riconquistare il Regno di Sicilia, supportato anche dalla flotta della Repubblica pisana, da sempre fedele all’imperatore. Tuttavia, la flotta siciliana riuscì a battere la flotta pisana; l’esercito di Enrico, anche a causa di una serie di eventi sfortunati (fra tutti una pestilenza), fu decimato. Inoltre, Tancredi riuscì a catturare a Salerno la zia Costanza. 

Per il rilascio dell’imperatrice Tancredi pretese che l’imperatore scendesse a patti con un accordo di tregua. Quale gesto di buona volontà, acconsentì a consegnare Costanza a papa Celestino III che si era offerto quale mediatore; durante il viaggio verso Roma, però, il convoglio fu attaccato da una guarnigione imperiale e l’Imperatrice venne liberata. Avendo perso il prezioso ostaggio, la tregua non venne stipulata tra Tancredi ed Enrico.

La spedizione verso la Sicilia per cacciare Tancredi non riuscì anche perché in Germania ci fu una ribellione della nobiltà capeggiata da Enrico il Leone e sostenuta dal sovrano inglese Riccardo Cuor di Leone. Anche per frenare i nobili ribelli Enrico dovette far ritorno in Germania. Complotti a parte, ad Enrico non piacque il fatto che Riccardo Cuor di Leone aveva riconosciuto Tancredi come re di Sicilia.

Nel febbraio 1193, il duca Leopoldo V d’Austria era riuscito a catturare l’insidioso Riccardo Cuor di Leone nei pressi di Vienna, mentre il re inglese ritornava dalla crociata. Il sovrano inglese fu poi consegnato ad Enrico. Papa Celestino III scomunicò Enrico per aver imprigionare un sovrano crociato, ma a seguito del pagamento di un pesante riscatto (nota 2) Riccardo Cuor di Leone fu rilasciato nel mese di febbraio 1194.  

Il 20 febbraio 1194 Tancredi morì mentre era impegnato in una campagna nella parte peninsulare del regno per ridurre all’obbedienza i suoi vassalli fedeli all’imperatore. Poco tempo dopo, in circostanze non ancora chiare, morì anche il figlio Ruggero. Con la morte di Tancredi arrivò il via libera per una seconda discesa di Enrico e Costanza. 

Enrico VI, col sostegno delle flotte genovesi e pisane capeggiate dal fido Marcovaldo di Anweller, dopo essersi garantito la neutralità dei Comuni lombardi col Trattato di Vercelli del 12 gennaio 1194, riuscì a sottomettere la Sicilia. Nell’autunno del 1194, ricevette a Troia il giuramento di fedeltà dei feudatari rimasti fedeli agli Hauteville. In quella sede l’imperatore nominò Cancelliere del regno di Sicilia e Puglia il vescovo di Troia Gualtiero di Pagliara. 

A reggere il Regno era ancora la Regina vedova Sibilla di Acerra, per il conte di Lecce, il minore Guglielmo, figlio di Tancredi. Giunto nell’isola Enrico VI si fece incoronare re di Sicilia il giorno di Natale del 1194 realizzando così l’unione del regno all’impero.

Enrico VI, imperatore dei Romani, attorniato dalle virtù, la ruota della Fortuna con Enrico in auge e Tancredi in rovina, miniatura del Liber ad Honorem Augusti  di Pietro da Eboli, fine XII secolo. Berna Burgerbobliothek.

Nel frattempo la regina Costanza, mentre si recava in Sicilia, fu costretta a fermarsi a Jesi dalla gravidanza che volgeva al termine, così il 26 dicembre del 1194 diede alla luce il futuro Federico II, al quale impose il nome di Federico Ruggero in onore dei due illustri nonni.

Nel frattempo Enrico VI a Palermo fece imprigionare Sibilla e dispose l’accecamento e l’evirazione di Guglielmo III e l’immediato trasferimento di entrambi in Germania. Contemporaneamente dispose che il magnifico tesoro reale fosse confiscato e portato in Germania.

Pur avendo annesso il Regno di Sicilia senza alcun impedimento, Enrico VI accusò di congiura laici ed ecclesiastici, contro di loro fu atroce e crudele. 

Anche il conte Riccardo d’Acerra, zio di Guglielmo, che tornava dalla crociata fu imprigionato e poi ucciso. 

Costanza, dopo aver affidato il neonato Federico alla tutela di Corrado di Urslingen Duca di Spoleto, partì per la Sicilia, senza immaginare che nell’isola avrebbe trovato malcontento, ribellioni e paura, a causa dalle atrocità di Enrico.

Dal 1196 la dinastia Hohenstaufen aveva raggiunto la massima estensione geografica ed economica del suo potere. Sulla carta, l’Inghilterra e la metà della Francia erano stati vassalli, la Danimarca e l’Ungheria riconobbero l’autorità degli Staufen. Inoltre, due terzi d’Italia, in effetti, ma tutto lo Stato Pontificio, era ormai sotto il dominio diretto di Enrico. Più lontano, i re d’Armenia (che a quei tempi si allungavano verso il Mediterraneo) e l’isola di Cipro divennero suoi vassalli.

L’Imperatore introdusse numerosi funzionari e vassalli in Sicilia e portò con sé i Cavalieri Teutonici che si insediarono a Messina e Palermo. I cavalieri Teutonici si rivelarono molto più fedeli di quanto non fossero gli Ospitalieri e i Templari. Enrico VI collocò suoi uomini di fiducia in posizioni chiave, innanzitutto nei castelli sul confine settentrionale, importanti strategicamente, in quanto garantivano il collegamento con l’Italia del nord. Così a Marquardo di Anweller fu affidata la Marca di Ancona, il ducato di Romagna e – dopo la morte di Corrado di Lützelhardt (1197) – la contea di Molise, mentre a suo fratello Filippo, diede la Toscana e l’amministrazione dei feudi di Matilde di Canossa. Cancelliere dell’Impero era sempre Gualtierio di Pagliara il quale aveva passato molti anni in esilio in Germania. Corrado di Urslingen di Spoleto fu nominato Vicario del Re.

Nessuna di queste iniziative era gradita ai baroni normanni e longobardi che si ribellarono. Questa situazione portò, nel 1197, ad una spietata repressione delle rivolte nell’Italia del sud.

Enrico contemplava anche una conquista di Costantinopoli che ebbe inizio quello stesso anno. Guidati da Corrado di Wittelsbach, arcivescovo di Magonza, partì un primo contingente di questa spedizione, ma mentre aveva già conquistato Sidone e Beirut giunse la notizia della morte di Enrico VI a Messina (28 settembre 1197), allora sia il prelato sia i crociati fecero ritorno in Sicilia. Con la morte dell’Imperatore il Regno di Sicilia tornò nuovamente nel caos. 

Ad Enrico succedette il figlio di appena tre anni, il futuro Federico II. La moglie Costanza, che gli sopravvisse poco più di un anno, fu reggente nel Regno.

I principi tedeschi elessero Imperatore Ottone IV di Brunswick.

Enrico è sepolto nella cattedrale di Palermo, la stessa dove venne incoronato. Accanto alla tomba sono della moglie e del figlio Federico II.

Nota 1: Il conte Tancredi di Lecce era figlio naturale di Ruggero III di Puglia (il figlio maggiore di re Ruggero II di Sicilia) e di Emma dei conti di Lecce (figlia di Accardo II), divenne conte di Lecce nel 1149.

Nota 2: Il riscatto per rilasciare Riccardo Cuor di Leone ammontò a 100.000 marchi d’argento (pari a 36 tonnellate d’argento), inoltre Riccardo doveva riconoscere l’imperatore suo signore feudale. 

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Giovanni Senzaterra

Giovanni Senzaterra fu membro del casato dei Plantageneti, che arrivavano dal centro-nord della Francia, originariamente conti d’Angiò, si legarono alla monarchia normanna d’Inghilterra e successivamente ne divennero successori. Giovanni nacque ad Oxford il 24 dicembre del 1167, fu re d’Inghilterra dal 1199 al 1216, è noto soprattutto per aver concesso la Magna Charta.

Figlio ultimogenito del re Enrico II e di Eleonora d’Aquitania, non ricevette dal padre alcuna eredità (da qui il soprannome di “senzaterra”). Nel 1189, si unì al fratello Riccardo I Cuor di Leone nella ribellione contro il padre e, quando Riccardo venne incoronato, ricevette numerosi titoli e proprietà.
Riccardo, dopo aver combattuto in Terra Santa nella Terza crociata, mentre faceva ritorno verso l’Inghilterra fu catturato dal duca Leopoldo d’Austria – che lo consegnò all’imperatore Enrico VI – e fu trattenuto prigioniero in Austria. Giovanni, approfittando di questa situazione, tentò di usurpare la corona.
Riccardo fu liberato nel 1194 dietro il pagamento di un enorme riscatto, così poté fare ritorno in patria appena in tempo per sventare il tentativo del fratello di usurpare la Corona; successivamente i fratelli si riconciliarono.

Giovanni Senzaterra

Alla morte di Riccardo, nel 1199, Giovanni salì al trono, ma dovette affrontare una rivolta dei baroni, che si allearono con il re Filippo II Augusto di Francia. Giovanni dovette cedere a Filippo quasi tutti i suoi possedimenti francesi. Nel 1207 si oppose alla nomina di Stephen Langton ad arcivescovo di Canterbury, ma il papa Innocenzo III lo scomunicò e cominciò a trattare con Filippo II per invadere l’Inghilterra.
Giovanni si piegò e si riconobbe vassallo del papa. Nel 1213 cercò di riconquistare i suoi possedimenti d’oltremanica alleandosi con l’imperatore Ottone IV di Brunswick, in una guerra contro Filippo II Augusto e il giovane Federico II, ma subì una nuova e definitiva sconfitta nella battaglia di Bouvines (1214).
Approfittando della debolezza del re, i baroni si unirono per costringerlo a rispettare i loro diritti e privilegi, e nel 1215 lo obbligarono a firmare la Magna Charta. La Magna Charta libertatum sanciva le «antiche libertà» d’Inghilterra, che il sovrano doveva impegnarsi a non violare. Papa Innocenzo III, al quale Giovanni Senzaterra aveva prestato omaggio feudale per riceverne l’investitura su Inghilterra e Irlanda, annullò con una bolla la Magna Charta in nome della difesa della sovranità della Chiesa, coincidente con quella del sovrano.
Giovanni, dopo aver ottenuto dal papa lo scioglimento dal vincolo del giuramento, entrò in guerra contro i baroni. Morì il 18 ottobre del 1216 nel castello di Newark nel Nottinghamshire, mentre la campagna contro i baroni era ancora in corso: gli succedette il figlio Enrico che aveva ancora 9 anni. La Magna Charta fu promulgata nuovamente nel 1216 e riconfermata nel 1225 dal nuovo re d’Inghilterra Enrico III. Isabella, figlia di Giovanni Senzaterra, andò in sposa a Federico II di Svevia nel 1235, fu madre di Enrico detto Carlotto, morto in tenera età, e morì a Foggia nel 1241.

La Magna Charta libertatum.

DALLA MAGNA CHARTA LIBERTATUM CONCESSA DA RE GIOVANNI SENZATERRA NEL 1215: «[…] La Città di Londra godrà di tutte le antiche libertà e libere consuetudini […]. Un uomo libero non potrà essere colpito da ammenda per un piccolo delitto che proporzionalmente a questo delitto; non potrà esserlo per un grande delitto che proporzionalmente alla gravità di questo delitto, ma senza perdere il suo feudo […]. I conti e i baroni non potranno essere colpiti da ammenda che dai loro pari, e proporzionalmente al delitto commesso […]. Tutti i mercanti potranno, se non ne avranno anteriormente ricevuto pubblico diniego, liberamente e in tutta sicurezza uscire dall’Inghilterra e rientrarvi, soggiornarvi e viaggiarvi […]».
NOTE BIBLIOGRAFICHE ESSENZIALI (CUI SI RIMANDA PER LE INDICAZIONI SULLE FONTI)
R. Manselli, L’Europa medioevale, Utet, Torino 1979, vol. II, pp. 917-952.
C. Carozzi, Le monarchie feudali: Francia e Inghilterra, in La Storia. I grandi problemi dal Medioevo all’Età contemporanea, vol. II, Il Medioevo, Utet, Torino 1986-1988.
G. Duby, La Domenica di Bouvines, trad. it. Einaudi, Torino 1977
F. Cardini, La politica mediterranea di Federico II, in «Tabulae», 28-29 (2003).
  
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GUGLIELMO II detto il Buono

Guglielmo II, noto come “Guglielmo il Buono,” nacque nel dicembre del 1153 da Guglielmo I “il Malo”, re di Sicilia figlio di re Ruggero II, e da Margherita di Navarra. Questi soprannomi, che potrebbero essere fuorvianti, probabilmente riflettono il rapporto di questi sovrani con la nobiltà siciliana. Tuttavia, nella Divina Commedia Dante collocò Guglielmo II nel Paradiso. Essendo deceduti i fratelli maggiori Ruggero nel 1161 e Roberto nel 1165, alla morte del padre, avvenuta a Palermo il 7 maggio 1166, Guglielmo salì al trono nel maggio 1166, a soli dodici anni sotto la reggenza della madre Margherita. La regina Margherita è stata coadiuvata da un consiglio di reggenza di tre familiares: il vescovo di Siracusa, Riccardo Palmer, il notaio Matteo d’Aiello e il gaito Pietro. Margherita dopo un pò di tempo, non ritenne più opportuno affidarsi ai funzionari che aveva nominato suo marito, ma chiamò dalla Navarra il fratellastro, Rodrigo Garcés, che nominò conte di Montescaglioso, il cugino, Stefano di Perche, che nominò cancelliere e vescovo di Palermo, ed altri parenti cui affidò il governo del regno. 
Questo comportamento scontentò sia i baroni che i funzionari, italici e saraceni, e portò ad una rivolta capeggiata da Matteo d’Aiello, che in un primo tempo fu imprigionato, ma in seguito riuscì ad avere la meglio e a fare allontanare i navarresi ed i francesi. Margherita era abituata al dissenso, avendo vissuto, con il marito, tali esperienze con la rivolta guidata da Matteo Bonnellis nel 1160, che causò la morte di uno dei suoi figli. Comprensibilmente, lei fu molto protettiva verso Guglielmo, che imparò bene diverse lingue, compreso l’arabo. Furono precettori di Guglielmo prima Gualtiero (per alcuni Gualtiero di Offamil) e poi Pietro di Blois. 
Margherita allora istituì un nuovo consiglio di reggenza costituito da il vescovo di Siracusa Riccardo Palmer, il notaio Matteo d’Aiello, e Gualtiero, Gentile Tuscus vescovo di Agrigento, Romualdo Guarna, Giovanni vescovo di Malta, Ruggero conte di Geraci, Riccardo di Mandra, Enrico conte di Montescaglioso e il Gaito Riccardo.
Le prime cose che il consiglio di reggenza realizzo furono, ancora una volta, all’impronta della conciliazione con la popolazione e con la nobiltà. Vennero concessi condoni anche fiscali, furono infeudate alcune contee vacanti e furono accolti nuovamente nel Regno gli esiliati Tancredi di Lecce e Roberto di Loritello.

Ritratto di re Guglielmo II


Margherita era una donna forte e coraggiosa, chiese spesso consigli all’Arcivescovo di Canterbury, Thomas Becket, con il quale tenne una fitta corrispondenza. Becket le diede solo un appoggio morale, mentre Margherita lo appoggiò nella controversia che lo opponeva al re d’Inghilterra Enrico II.  Quando Becket fu ucciso nel 1170 la regina di Sicilia concesse rifugio alla famiglia di Thomas Becket. 
Guglielmo trascorse gran parte della sua giovinezza al di fuori Palermo, in castelli come quello di San Marco di Alunzio, raggiunse la maggior età nel 1171. 
Gli intrighi di vescovi e nobili hanno favorirono una lotta di potere a corte, e questo certamente influenzò gli atteggiamenti del sovrano Guglielmo. 
Grazie al nuovo sovrano il regno ritornò agli antichi splendori, Guglielmo tentò di porre rimedio agli errori del padre ed in buona parte vi riuscì. Nominò Vicecancelliere Matteo d’Ajello, ebbe un grande rispetto di tutti i gruppi etnici presenti in città, riaffidò ai musulmani le vecchie cariche sottratte e diede la giusta importanza ai feudatari ai quali affidò moltissime cariche a corte e nell’esercito. 
Il governo passò poi nelle mani di Gualtiero, a cui si deve anche la costruzione della Cattedrale di Palermo. 
Come spesso capita ci furono diversi tentativi per assicurare una consorte al re di Sicilia. Inizialmente si ipotizzo il matrimonio di Guglielmo con la principessa bizantina, Maria, figlia dell’imperatore Manuele I Comneno, ma presto gli accordi per questa unione fallirono. Nel 1173 papa Alessandro III si oppose al matrimonio tra il re normanno e Sofia, figlia di Federico I Barbarossa. Poi nel 1176 fu inviato in Inghilterra l’arcivescovo di Capua Alfano di Camerota ed il vescovo di Troia, Elia.
Questi negoziarono il matrimonio con la figlia di Enrico II d’Inghilterra, per instaurare un’alleanza fra gli Altavilla e i Plantageneti. Questa missione ebbe successo e la principessa fu condotta nell’isola. A Palermo il 13 febbraio 1177 Guglielmo sposò Giovanna Plantageneto (1165-1199), sorella di Riccardo Cuor di Leone. In occasione di questo matrimonio i nobili inglesi raccontarono dello sfarzo e del lusso della corte normanna.
Da questa unione non nacquero figli e ciò spinse Guglielmo, per assicurare un erede al trono di Sicilia, ad acconsentire alle nozze dell’ormai matura zia Costanza (la figlia postuma di Ruggero II) con Enrico di Svevia, figlio di Federico Barbarossa, il futuro Enrico VI.
Ritenuto da molti giusto, indulgente e tollerante, Guglielmo II conquistò l’opinione degli storiografi anche perché seppe proteggere gli intellettuali del tempo, soprattutto i poeti arabi. Con Guglielmo i musulmani mantennero una larga rappresentanza di governo e di religione e a Palermo c’erano anche alcune moschee. 
Il viaggiatore arabo Ibn Giubair lo ha descritto, forse per il suo atteggiamento benevolo verso i mussulmani, come un monarca “quasi-musulmano”.  
Segni visibili del regno di Guglielmo sono ancora oggi il magnifico Duomo di Monreale e l’abbazia benedettina di Monreale, cui seguì la costruzione della Cuba e della Zisa a Palermo.

Mosaico che ritrae Guglielmo che dona il duomo di Monreale alla Vergine Maria – Dedicazione del Duomo di Monreale.

Il Duomo di Monreale, dedicato alla Vergine Maria, fu realizzato per mostrare al mondo che Guglielmo era ormai un re maturo disposto ad esercitare tutto il potere che gli veniva dalla corona. Ciò è testimoniato da un mosaico che raffigura la sua incoronazione fatta direttamente da Cristo a imitazione del mosaico della Chiesa della Martorana che mostra Ruggero II incoronato da Cristo. La costruzione di questa grande chiesa, e la creazione di una diocesi a poche miglia da Palermo, fu una delle sue azioni più importanti.

Mosaico che raffigura Guglielmo incoronato direttamente dal Cristo – Duomo di Monreale

La sua politica interna e politica estera fu ambiziosa, ma Guglielmo raramente si avventurò lontano dalla Sicilia. 
Diresse abili trattative con il Sacro Romano Impero, con i comuni dell’Italia settentrionale, e con i regni dei Balcani e del Mediterraneo orientale, dove le forze siciliane riuscirono a conquistare dei territori. Dopo un lungo periodo di conflitti, fece un trattato di pace con l’imperatore d’Oriente Isacco Angelo Comneno.
Con Guglielmo II detto il Buono l’isola visse un periodo di pace.
Guglielmo morì a Palermo, quando aveva 36 anni, il 18 novembre 1189 senza eredi, venne sepolto ai piedi dell’altare maggiore del Duomo di Monreale, così che chi officiava la Messa doveva inginocchiarsi sulla tomba di Guglielmo. Il cardinale Torres nel 1500 diseppellì il corpo del re e gli fece costruire un sepolcro rinascimentale, accanto a quello del padre Guglielmo I.

Duomo di Monreale – Il sarcofago rinascimentale che conserva le spoglie mortali di Guglielmo II d’Altavilla.

Si può affermare che l’epoca normanna della Sicilia sia finita con lui. Nel giro di pochi anni l’epoca della dinastia degli Hohenstaufen di Svevia arrivò in Sicilia e Federico II ne fu il suo massimo esponente.

Bibliografia:

  • David Abulafia, Federico II. Un imperatore medievale, Enaudi, Torino, 1993.
  • Errico  Cuozzo, Normanni e Svevi nel Mezzogiorno d’Italia.
  • Fulvio Delle Donne, «Gualtiero». In : Dizionario Biografico degli Italiani Vol. LX, Roma: Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2003, pp. 224–227 (on line).
  • J. M. Martin, Errico Cuozzo, Federico II Le tre capitali del regno Palermo – Foggia – Napoli, Procaccini Editore, Napoli, 1995.

  • Hubert Houben, Normanni tra Nord e Sud. Immigrazione e acculturazione nel Medioevo, Di Renzo Editore, Roma 2003
  • Fulvio Delle Donne – L’elaborazione dell’immagine di Costanza d’Altavilla nel Due e Trecento. Incroci di tradizioni tra cronache meridionali e centro-settentrionali, tra Dante e Boccaccio. Reti Medievali Rivista, 21, 1 (2020).

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Guglielmo I detto il Malo Re di Sicilia.

Quando il 26 febbraio del 1154 Re Ruggero II d’Altavilla morì, gli subentrò Guglielmo (1120-1166): il quarto figlio nato dalla sua unione con di Elvira di Castiglia (circa 1100-1135), dato che gli eredi d’età maggiore erano già tutti defunti.
Nell’immediato, la successione avvenne senza particolari traumi politici e sociali dato che il nuovo, giovane monarca, esercitava già da circa tre anni la coreggenza a fianco del padre.
Come uomo, come governante e come condottiero, Guglielmo I è un personaggio controverso, sul quale gli storici non sono ancora del tutto concordi ma…

…chi era, in realtà, Guglielmo I detto il Malo?

Guglielmo I era cresciuto ed era stato educato nell’ambiente mediterraneo di Palermo, subendo l’influenza della cultura araba che ancora pervadeva l’intera isola. Il fatto di essere cresciuto in una Corte importante, tra le più brillanti d’Europa, aveva condizionato il suo carattere conducendolo, in età adulta, a godere il lusso dei suoi palazzi più che ad occuparsi dello Stato. Alcuni affermavano che preferiva affidare la gestione del regno ad un primo ministro, essendo già troppo impegnato a godersi la tranquillità della corte e le imprese militari che maggiormente gradiva.
Di conseguenza, nel suo entourage erano evidenti le caratteristiche proprie degli ambienti arabi, dove era presente un ostentato lusso orientale; anzi, i suoi più aperti detrattori, e non solo questi, mormoravano che avesse addirittura un vero e proprio harem, provocando il disappunto dei più intransigenti ambienti cristiani. A conferma indiretta di queste illazioni, il viaggiatore arabo Ibn Giubayr giunse ad affermare che «le ancelle e le concubine che il Re tiene a palazzo sono tutte musulmane».
Lo storico inglese David Abulafia, nel suo noto libro Federico II Un imperatore medievale, pag. 28, così descrive Guglielmo I: «Guglielmo I (detto il Malo), successore di Ruggero, trascorse la maggior parte del suo periodo di regno in Palermo, e la maggior parte delle sue giornate – come sussurravano le malelingue – nei giardini e negli harem del suo palazzo. La presenza fisica del sovrano in Sicilia consenti perciò l’evolversi di un sistema amministrativo alquanto diverso, impostato su fondamenta ad un tempo arabe e bizantine».

Guglielmo I detto il Malo

Con questo spirito, Guglielmo I avviò la costruzione dello splendido palazzo che ancora oggi ammiriamo, La Zisa, completato dal suo successore.
EL AZIZ in arabo significa nobile, splendido; e certo così l’edificio doveva apparire ai viaggiatori e alle umili popolazioni locali. Guglielmo lo concepì per essere allo stesso tempo stesso un luogo di delizie ed espressione della potenza regale. Ampi spazi erano destinati ai sollazzi del sovrano nei magnifici giardini detti anticamente di Genoard, il Paradiso sulla terra e dove, nelle ore più fresche, i cortigiani si aggiravano tra aranci, cedri e limoni. Guglielmo sposò Margherita, figlia di Garcia IV Ramirez di Navarra, che gli diede quattro figli: Ruggero duca di Abulia, Roberto, Guglielmo che sarà suo successore, ed Enrico, principe di Capua.

la Zisa – Palermo

Tutto sommato, Guglielmo I non può essere considerato un cattivo regnante, nonostante sia noto alla storia come il Malo, contrapposto al figlio e successore Guglielmo II detto il Buono: un appellativo, giova ricordarlo, che gli verrà attribuito solo nel XIV, molto probabilmente dallo Pseudo Ugo Falcando: Storia del Regno di Sicilia (1550).
Al contrario, in relazione ai tempi, fu certamente un sovrano prudente anche se, durante il suo regno, non mancarono le sommosse che stroncò energicamente.

Un difficile regno.
Ad onta della tranquilla successione al trono, il regno di Guglielmo I si apriva in un momento assai critico per la vita dello Stato, gravata da particolari criticità interne ed esterne.
All’interno si assisteva al crescente affermarsi di un forte partito ecclesiastico, alimentato dall’arrivo da tutta Europa di alti prelati e personaggi dell’amministrazione, assieme a numerosi insediamenti monastici. Ciò comportava la diminuzione della tolleranza religiosa verso i Musulmani e i Bizantini che era stata fino a quel momento il collante delle varie etnie sempre in stato di potenziale conflitto.
Sul versante esterno Manuele I Comneno, incoronato Imperatore d’Oriente nel 1143, si stava organizzando in quegli anni per tentare la riconquista dell’Italia normanna. Il progetto era ambizioso e, come immediata conseguenza, contribuiva ad alimentare le tensioni all’interno dal Regno dove i feudatari vedevano nel nuovo Re un elemento di discontinuità che poteva ridurre i loro benefici a favore delle classi produttive emergenti.
Come se ciò non fosse bastato, c’erano poi le crescenti pretese egemoniche della Chiesa e dell’Impero germanico, guidati rispettivamente dall’intransigente Pontefice inglese Adriano IV e da Federico I il Barbarossa, sceso per la prima volta in Italia proprio nel 1154 con l’obiettivo dichiarato di normalizzare una situazione resa ormai rovente.
Certo il giovane monarca si trovava a dover fronteggiare problemi più grandi di lui; tanto più che, fin dai primi interventi pubblici, pur confermando formalmente la tradizionale linea di governo tracciata dal padre, non aveva potuto celare le proprie simpatie per la borghesia, sempre più attiva e combattiva.
C’erano le premesse per giungere rapidamente ad una situazione di generalizzata conflittualità; e la prima occasione giunse di lì a poco, con l’invasione del Regno da parte dell’esercito bizantino che nell’occasione aveva trovato innaturale alleanza nell’apparato bellico pontificio.

1155-56: L’invasione del Regno ad opera dell’esercito bizantino e di quello pontificio.
L’acme della tensione provocata dalle mire espansionistiche di Manuele I Comneno si ebbe nel 1155 quando Guglielmo, dopo aver nominato Maione da Bari ammiratus ammiratorum, – una sorta di primo ministro – cadde in una prolungata malattia, durante la quale si diffuse addirittura la falsa notizia della sua morte.
Era il momento opportuno ai Bizantini per aggredire il Regno; tanto più che l’iniziativa avrebbe trovato terreno favorevole tra la gran parte dei Conti che consideravano i nuovi possibili padroni preferibili ad un Re che aveva chiaramente dimostrato di voler limitare il loro diritti.
Ma l’illusione di Manuele I Comneno e dei suoi durò poco; fino a quando Guglielmo, ristabilitosi completamente dalla malattia, ritornò nell’agone politico e militare più forte e motivato di prima, pronto ad organizzare la controffensiva.

Le fasi dell’invasione e le linee di difesa.
L’esercito bizantino, comandato da Michele Paleologo e da Giovanni Doukas, aveva iniziato l’invasione del Regno partendo da Ancona, dove era stata prevista una linea di difesa – la prima, fra le tante disseminate in varie aree strategiche dall’accorto Ruggero II – posta nell’insediamento più settentrionale: la Contea di Aprutium, istituita nel 1140.
Qui, alla fine del 1155, il Governatore Conte Roberto de Aprutio combatté strenuamente per garantire l’integrità dei domini normanni. Non così si comportarono parecchi Conti i quali, capeggiati da Roberto III di Loritello, imparentato con la Casa regnante, si ribellarono al legittimo Sovrano, avviando apertamente la defezione.
Il conte Roberto de Aprutio fu tra i pochi Conti rimasti fedeli alla Casa d’Altavilla e con ogni probabilità morì nel tentativo, disperato e vano, di non cedere Teramo alle truppe di invasione. Alcune fonti sostengono che Loritello fu cacciato con l’apporto dei Salernitani.
A sud della contea di Aprutium una seconda linea di difesa era affidata al conte Boemondo di Manoppello che presidiava le valli del Pescara, del Foro e del Sangro; quest’ultima in collaborazione con il conte di Molise, che possedeva Castel del Giudice e Capracotta.
Secondo quanto riferisce il Chronicon Casauriense, il conte di Manoppello non intervenne per ostacolare l’invasione bizantina. Per questo, alla fine del 1156, fu imprigionato in Palermo da Re Guglielmo e fu liberato solo dopo alcuni mesi per morire in Calabria, a Tarsia in Val di Grati, suo paese di origine.
Prima che l’esercito invasore potesse giungere in Capitanata, una terza ed ultima linea di difesa era stata posta nel Molise dove la resistenza durò poco. Il conte di Molise Ugo II infatti, chiamato a presidiare le valli del Trigno, del Biferno e del Fortore, aderendo alla ribellione capeggiata da Roberto III di Loritello, lasciò impunemente passare l’esercito bizantino.
Sul confine nord-occidentale del Regno la difesa armata era affidata al conte di Fondi, che aveva il compito di intervenire nella bassa valle del Liri e nella valle del Garigliano. Ma anche qui Riccardo De Aquila, conte di Fondi, lasciò passare l’esercito pontificio senza opporre resistenza: un tradimento inaudito che, a fine avventura, lo costringerà a morire in esilio, forse nei pressi Roma, accanto a coloro che lo avevano prezzolato.
L’estremo intervento difensivo predisposto da Re Ruggero era rappresentato dall’arrivo dell’esercito regio; o, in alternativa, dalla leva generale di tutti gli uomini liberi. Guglielmo non nutriva dubbi sulla necessità di decretare la massima mobilitazione: ma nel frattempo erano ancora i nobili locali a dover intervenire, se onesti e fedeli, in difesa del Regno.
Quando nel 1156 l’esercito invasore, passato il fiume Fortore, dilagò in Puglia occupando – come affermano fonti bizantini – ben quaranta castelli, il Conte di Andria Riccardo de Lingèvres, un cavaliere originario della Normandia, fu chiamato a svolgere un ruolo importantissimo nella difesa militare dell’Apulia. Per bloccare possibili invasioni dal mare, egli dovette creare una lunghissima barriera protettiva che andava dall’Adriatico allo Ionio. Alla fine, dopo una lotta impari e sanguinosa, combattuta con tutte le sue forze, morì da eroe sotto le mura di Andria.
Fu proprio il suo sacrificio, unito a quello precedente del conte de Aprutio, a rallentare l’invasione e a consentire l’intervento dell’esercito regio malgrado la ribellione dei conti. Il vicecancelliere Ascletino, a capo delle truppe regolari, ebbe il tempo di giungere in Puglia e di ingaggiare le battaglie decisive.
Parallelamente, il Re allertò tutte le forze di popolo disponibili, a cominciare da quelle della penisola Salentina non ancora caduta nelle mani bizantine. Fu bandita così la leva nomine proelii: la leva generale di tutti gli uomini liberi, chiamati al difesa del Regno.

L’assedio e la battaglia di Brindisi.
I coscritti furono posti agli ordini del connestabile Ruggero di Fleming che, sulle prime, tentò senza successo di opporsi all’avanzata nel Salento dell’esercito greco comandato, dopo la morte di Michele Paleologo, dal solo Giovanni Doukas.
Così, il 14 aprile l’esercito invasore si trovò alle porte di Brindisi, pronto a conquistarla, inferendo ai Normanni un colpo forse decisivo. Ma le mura che doveva superare, fortificate all’inizio dell’XI secolo, si dimostravano solidissime; per cui i condottieri, in luogo di utilizzare le tradizionali macchine da guerra, preferirono porre l’assedio, facendo la città segno di un fittissimo lancio di pietre.
Si trattò di un micidiale errore strategico? Certo i tempi lunghi richiesti dall’operazione consentirono a Re Guglielmo di raggiungere personalmente la città a capo del suo grande esercito e di prendere alle spalle gli assalitori. La battaglia si protrasse diversi giorni, con enormi perdite umane da ambo le parti. Finché i Brindisini – militari e civili, uomini e donne – usciti dalla città, parteciparono all’accerchiamento degli assalitori, contribuendo alla chiara vittoria delle armi normanne.

A conclusione della dolorosa avventura, restava il fatto che i nobili del Regno, nonostante fossero doppiamente legati al Re dalla fedeltà vassallatica e dai vincoli di sangue, si erano nella maggioranza dimostrati dei vili traditori; avevano consentito agli invasori di violare i sacri confini normanni!
Re Guglielmo allora, constatata la scarsa affidabilità della classe feudale, non esitò a perfezionare il sistema difensivo del Regno ideato dal padre. E decretò che, alle prime difficoltà provocate dai conti, sarebbe intervenuto l’esercito regio, opportunamente potenziato e organizzato.
La vittoria di Brindisi entrò negli annali del Regno di Sicilia come un grande successo del popolo e della monarchia.

Papa Adriano IV.
Da allora, Papa Adriano IV comprese che era conveniente negoziare con i Normanni anziché combatterli; e con il trattato di Benevento del 18 giugno 1156, rinnovò a Guglielmo il mandato a governare il Regno inclusa Capua e Napoli. Guglielmo giurò fedeltà al Papa ricevendo, analogamente a quanto era avvenuto per Ruggero nel 1239, l’investitura con tre vessilli.
Nel 1157 Guglielmo, forte del successo ottenuto a Brindisi, inviò nel mare Egeo il viceammiraglio Stefano – fratello di Maione di Bari suo primo ministro – al comando di una flotta di 140 navi che si scontrò con l’armata bizantina capeggiata da Costantino Angelo, zio dell’Imperatore. Le forze bizantine uscirono sconfitte; molte navi greche furono date alle fiamme, mentre quelle siciliane si ritirarono con numerosi importanti prigionieri.
Con questo gesto, il Re normanno intendeva compiere l’estrema vendetta nei confronti del Basileus, che nel 1158 fu costretto a firmare una pace trentennale e a riconoscere i diritti degli Altavilla sui territori italiani una volta appartenuti ai Bizantini.

Papa Adriano IV

Ristabilitasi la situazione continentale e quella siciliana, le vicende fin qui narrate non furono immuni da conseguenze per il futuro normanno nel bacino del Mediterraneo.
La dinastia musulmana berbera degli Almohadi, che già dominava il Marocco, l’Algeria e parte della Spagna, intendeva unificare il Nordafrica sotto il suo potere; e mise in discussione la tutela dei Normanni, iniziando con la riconquista delle loro piazzeforti.
Iniziò così un periodo di contenziosi e di guerre, inevitabilmente terminato con la vittoria delle preponderanti armi africane. L’ultimo baluardo, Mahddiyya, cadrà in gennaio 1160, concludendo il periodo del Mediterraneo normanno.

La perdita dei territori d’Africa accentuò lo scontento dei nobili, che attribuirono al detestato primo ministro Maione il mancato efficiente intervento nella zona, mentre questi asseriva che le scelte strategiche errate erano state imposto dal Re.
Le reazioni dei contestatori più accesi condussero ad aperti contrasti, alcuni feudatari calabresi ricorsero ad atteggiamenti di manifesta disobbedienza.
Nelle manovre delle parti fu coinvolto tale Matteo Bonello: un nobile originario di Caccamo, attivo nella politica governativa e per lungo tempo arbitro o semplice maneggione tra le opposte fazioni in lotta. Mentre i nobili ribelli si prodigavano per convincerlo a schierarsi contro Maione, questi, per tenerlo legato a sé, gli prometteva in moglie la propria figlia e gli conferiva il delicato incarico di sedare gli animi dei più facinorosi; il tutto con l’unica certa conseguenza di confondere ulteriormente la già ingarbugliata situazione.
Né sapremo forse mai quanto il Bonello sia stato uno scaltro doppiogiochista, piuttosto che un arrivista ingannato da personaggi più astuti di lui. Resta il fatto che l’ambiguo signore apparve ai contemporanei come l’astuto organizzatore di parecchie azioni difficilmente interpretabili.
Gli episodi criminosi si succedettero con impressionante rapidità. Ad aprire le ostilità fu proprio Matteo Bonello che il 10 novembre 1160, con altri congiurati, attirò in un agguato il Maione e lo uccise.
Re Guglielmo fu tentato di reagire al delitto con accanimento, ma alla fine fu convinto dai consiglieri più moderati a perdonare i congiurati. Alcuni di questi, fiduciosi, restarono nei loro possedimenti; altri uscirono dal regno, chi tenendosi prossimo ai confini, chi allontanandosi fino a Gerusalemme, rifugio in quel tempo di parecchi nobili avventurieri o disperati.
Nel frattempo i baroni organizzarono una congiura contro lo stesso Re, per costringerlo ad abdicare in favore del figlio. Mentre Matteo Bonello era assente da Palermo, nobili provocarono dei moti popolari; e il 9 marzo 1161, dopo aver catturato ed imprigionato Guglielmo nel suo palazzo, portarono l’infante Ruggero III per le vie della città in sella ad un cavallo, presentandolo come il nuovo Re.
Nella confusione generale che si era creata, ci fu chi approfittò per sfogare la propria intolleranza verso le comunità di cittadini musulmani e greci; i loro quartieri, negozi e fondachi furono distrutti, con ulteriore peggioramento del già precario ordine pubblico.
I rivoltosi non mancarono di saccheggiare il palazzo di Corte e i principali uffici dell’amministrazione regia; andarono bruciati molti documenti tra i quali i defectari feudalied i terrorum feudorumque distinctiones ritus et instituta Curiae, vale a dire l’intero catasto demaniale. Il popolo liberò il Re solo su intervento del clero, interessato a non destabilizzare ulteriormente l’area; ma durante le sommosse fu drammaticamente ucciso Ruggero, il piccolo erede al trono.
Reintegrato nella sua dignità, Re Guglielmo incaricò il Protonotario Matteo d’Ajello di compilare un nuovo registro dei feudatari del Regno e promise nuovamente clemenza a tutti i congiurati. Ma in seguito scatenò da par suo una micidiale vendetta. Il Bonello fu catturato con un agguato e rinchiuso nelle carceri, dove subirà la condanna riservata ai regicidi: sarà barbaramente ucciso, dopo essere stato accecato e sottoposto a tremende torture.
Successivamente, Guglielmo si dedicò a punire le comunità di terraferma che si erano sollevate contro di lui. Ridotte all’obbedienza le città e i feudatari ribelli della Calabria e della Puglia, arrivò in Campania; ma rinunciò ad attaccare Salerno a causa di una forte tempesta, e da qui fece ritorno in Sicilia.
Nell’ottobre 1163 Federico I il Barbarossa, trovandosi in Italia, ideò di rinvigorire e di utilizzare a proprio vantaggio la rivolta feudale scoppiata contro Guglielmo I. L’iniziativa non ebbe però seguito, perché i suoi consiglieri militari giudicarono troppo rischiosa l’invasione del Regno normanno.

Guglielmo I morì il 7 maggio del 1166 per complicazioni da dissenteria: un male diffuso nelle condizioni igieniche medievali, ma, soprattutto quando riguardava un illustre personaggio, un sintomo che lasciava sempre il dubbio di un avvelenamento. Le sue spoglie mortali riposano nel mausoleo all’interno del Duomo di Monreale.
Gli successe il figlio Guglielmo II che aveva solo dodici anni, incoronato con grande pompa nel duomo di Palermo. A causa della giovanissima età, la reggenza fu assunta dalla madre, Margherita di Navarra, la quale, preoccupata per gravità della situazione e per i complotti sempre più frequenti, chiamò in suo aiuto il cugino, Stefano di Rouen, conte di Perche. Questi fu nominato prima cancelliere poi arcivescovo di Palermo; ma ben presto, sentendosi circondato da una crescente corrente ostilità, si ritirerà in Terra Santa, un ambiente più confacente alle sue attitudini.

Duomo di Monreale, il sarcofago che conserva le spoglie mortali di Guglielmo I

Bibliografia:

• Errico Cuozzo, Quei maledetti Normanni, Cavalieri e organizzazione militare nel Mezzogiorno normanno, Napoli, 1989
• David Abulafia, Federico II. Un imperatore medievale, Enaudi, Torino, 1993.
• J. M. Martin, Errico Cuozzo, Federico II Le tre capitali del regno Palermo – Foggia – Napoli, Procaccini Editore, Napoli, 1995.
• Hubert Houben, Ruggero II di Sicilia, Un sovrano tra Oriente e Occidente, Editori Laterza, 1999.
• Hubert Houben, Normanni tra Nord e Sud. Immigrazione e acculturazione nel Medioevo, Di Renzo Editore, Roma 2003
• Errico Cuozzo; Federico II di Svevia e il regnum siciliae, lezioni; Gentile Editore Salerno.
• E. Cuozzo, Normanni e Svevi nel Mezzogiorno d’Italia.
• Matteo Camera; Memorie Storico-Diplomatiche dell’antica Città e Ducato di Amalfi; Centro di Cultura e Storia amalfitani
• Schola Salernitana, Studi e Testi; Romualdo II Guarna, Chronicon, a cura di Cinzia Sonetti; Avagliano editore.

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Ruggero II d’Altavilla re di Sicilia.

Ruggero, figlio secondogenito di Ruggero d’Altavilla e di Adelasia di Monferrato, nacque il 22 dicembre 1095 a Mileto, quando il padre aveva già 64 anni.

Alla morte del gran conte, nel giugno del 1101 a Mileto, la vedova si ritrovò con due figli in tenera età e con la necessità di provvedere alla reggenza del regno, cosa che fece con l’aiuto di accorti consiglieri.  

La morte del fratello primogenito Simone, avvenuta nel 1105, lasciò erede unico Ruggero che a 10 anni divenne conte di Sicilia.

Della fanciullezza di Ruggero sappiamo poco. L’abate Alessandro di Telese riferisce che sin da bambino mostrava un carattere rude ed autoritario e che spesso, nel gioco, sottometteva il fratello.

Ruggero crebbe nell’ambiente cosmopolita della corte di Palermo, come sarebbe avvenuto anche al futuro Federico II, educato da precettori greci e musulmani. Imparò a parlare correntemente il greco, l’arabo ed il latino, cosa che gli consentì, da adulto di trattare in prima persona con i principi stranieri. Uscito dalla minore età nel 1112, Ruggero assunse le redini del governo e ben presto si dimostrò uomo di eccezionale talento sia nell’amministrazione interna sia nel programma espansionistico.

Avviò un’energica politica di consolidamento della contea continuando l’unificazione dello stato avviata dal padre tendente a dare a tutti i sudditi del regno, qualunque fosse la loro origine etnica, un’eguaglianza di fronte alle leggi e di fronte allo Stato e contemporaneamente una politica di espansione nel Mezzogiorno della penisola, col disegno di unificare i domini normanni d’Italia.

Ruggero II in tenuta da guerra. L’immagine è tratta dal manoscritto Liber ad honorem August di Pietro da Eboli, del 1196.

Nel 1126, senza bisogno di ricorrere alle armi, successe al cugino Guglielmo, duca di Puglia, morto senza eredi. Sbarcato dalla Sicilia nella terraferma per prendere possesso dei suoi nuovi domini, Ruggero si impadronì facilmente di Salerno ed Amalfi e ricevette l’omaggio di molte altre città. Questa signoria grande e potente che si andava formando nell’Italia meridionale non poteva, naturalmente, esser vista di buon occhio da papa Onorio II. Pertanto il pontefice scomunicò Ruggero e tutti coloro che lo avessero aiutato nella conquista della Puglia.

Ruggero dapprima tentò di ingraziarsi Onorio inviandogli ambasciatori con ricchissimi doni e dichiarandosi pronto a considerarsi vassallo della Santa Sede, ma il pontefice rinnovò la scomunica e guadagnò alla sua causa Roberto principe di Capua e Rainulfo d’Alife. 

Ruggero allora, radunate le sue efficienti milizie, marciò verso la Puglia ma Taranto, Otranto, Brindisi, Castro ed altre città si arresero senza opporre resistenza, riconoscendolo loro duca.

Nulla potendo la scomunica, il pontefice tentò la via delle armi e venne ad affrontarlo sul Bradano, nella pianura di Vado Petroso.

Ma Ruggero non lo affrontò direttamente, temporeggiò, quasi come in un assedio, per stancarne l’esercito mercenario che, in effetti, dopo qualche tempo si disperse prima ancora di iniziare una sola battaglia; il pontefice fu costretto a rifugiarsi a Benevento e a venire a patti: assolse Ruggero dalla scomunica e lo riconobbe duca di Puglia (agosto del 1128). Ma i baroni pugliesi non erano d’accordo e, tornato Ruggero in Sicilia, insorsero, ma questi, riattraversato lo stretto, ben presto li soggiogò, e ormai padrone del ducato, convocò una Dieta a Melfi, “in cui sancì che nessun barone, qual ne fosse la ragione, movesse guerra all’altro, o si attentasse di proteggere ladri e malfattori di ogni maniera; che anzi qualora ne vivessero nei loro stati, dovevano consegnarli ai magistrati incaricati; che nessuno osasse appropriarsi dei beni degli arcivescovi, di vescovi e di qualunque chierico o monastero, o di molestare o far molestare gli operai, gli agricoltori, i pellegrini, i mercanti e qualsiasi altra persona”.

Per mantenere la pubblica tranquillità e la sicurezza, Ruggero quindi rafforzò la sua autorità esigendo l’obbedienza dei più potenti vassalli senza far loro alcuna concessione.

Conte di Sicilia e duca di Puglia, il principe normanno assumeva così la veste di signore dell’Italia meridionale, anche se non ancora interamente conquistata. Tra il 1128 e il 1129 egli riuscì ad affermare il suo potere anche su Napoli, Bari, Capua e molte altre località e a continuare l’opera unificatrice.

Pochi sovrani in Europa avrebbero potuto competere con lui. Nessun monarca occidentale lo superava in ricchezze e Palermo, antica capitale degli emiri, ricca di magnifici palazzi, fiorentissima per le arti e per i commerci, fu la degna sede di un tal principe, che aveva adottato la pompa e i costumi arabi.

Il suo palazzo era adorno di preziosissimi arredi, popolato di eunuchi e fanciulle e difeso da un fortissimo corpo di soldati saraceni. Il fasto di Palermo era pari a quello delle più sontuose corti orientali e al fasto corrispondeva la potenza, perché in quel tempo Ruggero, i cui stati si estendevano quasi fino a Roma e avevano i porti frequentati dai crociati di passaggio, pesava molto nella politica europea.

E mentre l’autorità degli altri principi era limitata dalla potenza dei loro vassalli, quella di Ruggero andava ben oltre: quando, dove e come avesse voluto, egli era in grado di radunare un formidabile esercito, che le fedelissime milizie musulmane rendevano ancor più forte e temuto.

Mantello di Ruggero II (più tardi mantello per l’incoronazione degli imperatori svevi). 
Due leoni dilaniano due cammelli. 
LEGGENDA ARABA SULL’ORLO: ‹‹Questa fu fatta nell’officina reale (tirāz) per la buona fortuna e l’onore supremo e la perfezione e la forza e il meglio e la capacità e la prosperità e la custodia e la difesa e la protezione e la buona fortuna e la salvezza e la vittoria e l’abilità.
Nella capitale della Sicilia nell’anno 528 (dell’Egira) (1133-1134)›› (traduzione da Johns, I Titoli Arabi. p. 40), conservato a Vienna, presso il museo Kaiserliche Schatzkammer.

Data la potenza cui era pervenuto, Ruggero vide la necessità di costituire lo Stato in un’unità che desse al sovrano maggiore autorità: nel 1129, convocato a Salerno un Parlamento al quale parteciparono non solo gli ecclesiastici e i baroni, ma anche i cittadini più importanti, propose, vista l’estensione e la ricchezza dello Stato, di mutarlo in Regno.

Ottenuto il voto del Parlamento, Ruggero fece ritorno in Sicilia, dove il voto di Salerno fu confermato da un’altra assemblea siciliana.

Ruggero inoltre seppe trarre profitto delle discordie nate in seno al papato in seguito alla morte di Onorio e culminate in uno scisma (contemporaneamente erano stati eletti Innocenzo II e l’antipapa Anacleto II): con un piccolo capolavoro politico, appoggiando Anacleto, riuscì a dare “giustificazione” divina alla corona di Sicilia, diritto immortalato in un mosaico nella chiesa della Martorana a Palermo, dove Ruggero, in abiti orientali, riceve la corona dalle mani di Cristo.  

Il mosaico della chiesa della Martorana in Palermo ove Ruggero II appare incoronato da Cristo.

Fu tale la pompa che, ad un cronista del tempo, parve che tutte le ricchezze e le magnificenze del mondo si fossero riunite a Palermo. Le sale della reggia erano ricoperte di preziose tappezzerie, i pavimenti di tappeti di squisita fattura. Il nuovo re uscì preceduto da tutti i baroni e cavalieri del regno che incedevano a coppie, montati su superbi cavalli dai finimenti d’oro e d’argento; seguivano il monarca i più autorevoli personaggi, anch’essi riccamente vestiti e su cavalli magnificamente bardati. Giunto al duomo, Ruggero fu consacrato dagli arcivescovi di Benevento, di Capua, di Salerno e di Palermo e ricevette la corona dalle mani del principe di Capua.

Alla cerimonia seguirono sontuosi banchetti in cui non fu usato altro vasellame che d’oro e d’argento; gli scalchi, i paggi, i donzelli e perfino i valletti che servivano le mense erano vestiti di tuniche di seta.

L’avvento al regno fu seguito da un decennio di guerre, nel quale Ruggero II ebbe contro di lui coalizzati il papa Innocenzo II, l’imperatore Lotario II di Supplimburgo, il basileus Giovanni II Comneno, le repubbliche marinare di Genova, Pisa, Venezia e, nel regno, città e baroni ribelli. Nonostante rischiosissime avventure, Ruggero II riuscì ad estendere i confini del regno fino al Tronto, e, morto l’antipapa Anacleto II (1138), dopo aver inflitto una grave sconfitta a Innocenzo II (San Germano, 1139), ottenne anche da questo il titolo regio. La pace col pontefice consentì al re di ristabilire la sua autorità all’interno e di riprendere, con la collaborazione di Giorgio d’Antiochia e di altri valorosi ammiragli, l’espansione oltre mare, dalla Sicilia alla costa tunisina e dalla Puglia alla Grecia (con un attacco alla stessa Costantinopoli nel 1149). E fu proprio durante un viaggio di ritorno in Sicilia via mare, che il re s’imbatté in una violentissima tempesta. Per due giorni temettero di naufragare, poi in vista della rocca di Cefalù le acque, come per incanto, si calmarono. Ruggero lo interpretò come un segno della benevolenza divina e per questo fece innalzare sulla rocca quello che ancor oggi viene considerata una delle più belle cattedrali del mondo: il duomo di Cefalù.

Caratteristica del regno siciliano fu l’esistenza di un’amministrazione centrale assai complessa, lascito delle dominazioni bizantina e araba: il re era assistito da sei ufficiali (i più importanti dei quali erano l’“ammiraglio”, carica di origine araba, capo delle forze armate ed il protonotario, capo della cancelleria) e da magistrati sparsi nelle province (iusticiarii e connestabuli). Esistevano un’amministrazione finanziaria (dohana) e una forma di autogoverno concessa alla comunità araba di Palermo, retta da un qadì. Speciali prerogative, in materia di organizzazione ecclesiastica, grazie all’apostolica legatia concessa da papa Urbano II al gran conte Ruggero in cambio d’appoggio militare, vennero riconosciute ai sovrani normanni, nominati legati papali, ossia diretti rappresentanti della Santa Sede. Pur essendo gli obiettivi principali imposti dai pontefici lo sradicamento dell’islamismo e la lotta contro l’influenza del Cristianesimo greco-bizantino, Ruggero II si guardò bene dall’interessarsi di crociate, problema che coinvolgeva il resto dell’Europa, e fu molto tollerante riguardo alle profonde differenze etniche e religiose esistenti tra i suoi sudditi, anzi incoraggiandone le attività artistiche e culturali.

Alla corte di Ruggero perdurò la cultura araba; egli accolse molti dotti, preferendo alla compagnia e alla conversazione dei monaci cristiani quella dei dotti arabi. Tra questi, ricordiamo il geografo al-Idrisi che per incarico del sovrano scrisse “Il sollazzo per chi si diletta di girare il mondo” più nota come Kitab-Rugiar, ossia Il libro di Ruggero, che costituisce una delle più importanti opere di geografia di tutto il medioevo. Al libro si accompagnava un grande planisfero d’argento, purtroppo andato distrutto (o, meglio, predato e fuso).

Ruggero II morì il 26 febbraio del 1154 a Palermo, dopo 24 anni di regno e dopo aver sottomesso buona parte delle terre che si affacciano nel Mediterraneo.

Sarcofago di Ruggero II – Cattedrale di Palermo

Due mesi dopo la sua morte nacque la figlia Costanza, che alcuni anni più tardi avrebbe partorito, in una pubblica piazza, lo Stupor mundi.

I Matrimoni e Figli

Ruggero sposò prima del 1118 Elvira di Castiglia (circa 1100 – 1135), dalla quale ebbe:

            • Ruggero, (1118 – 1148) duca di Puglia, che da una relazione con Bianca di Lecce ebbe Tancredi pretendente al regno di Sicilia;

            • Tancredi, (ca. 1120 – 1138) principe di Bari;

            • Alfonso (ca. 1120 – 1144), principe di Capua e duca di Napoli;

            • Guglielmo, (ca. 1120 o 1121 – 1166), duca di Puglia e poi Re di Sicilia (1154-1166), detto Guglielmo il Malo;

            • Adelasia (ca. 1126 – dopo il 1184), contessa di Firenze di diritto, che sposò Jozzelino, conte di Loreto e, in seconde nozze, Roberto, conte di Loritello e Conversano;

            • Enrico (ca. 1130 – prima del 1145), principe di Taranto.

Dopo la morta Elvira di Castiglia, nel 1149, dopo ben quattordici anni di vedovanza (con la preoccupazione della successione dinastica dopo la morte in successione dei suoi primi tre figli maschi), si unì in matrimonio con Sibilla di Borgogna (1126 – 1150) dalla quale ebbe:

            • Enrico (29 agosto 1149 – morto bambino);

            • un figlio (16 settembre 1150) nato morto, dopo poco muore anche Sibilla per complicazioni post parto.

Ruggero II e Sibilla di Borgogna. L’immagine è tratta dal manoscritto Liber ad honorem August di Pietro da Eboli, del 1196.

Quindi nel 1151 si affrettò a sposare Beatrice di Rethel (1135 – 1185) dalla quale nacque postuma la sola:

            • Costanza (1154 – 1198), imperatrice e regina di Sicilia, sposa di Enrico VI di Germania (1165-1197) e madre di Federico II di Svevia.

Re Ruggero II con Beatrice di Rethel, terza e ultima moglie. L’immagine è tratta dal manoscritto Liber ad honorem August di Pietro da Eboli, del 1196.

Bibliografia:

  • AA VV Storia della Sicilia. Società editrice Storia di Napoli e della Sicilia Santi Correnti Storia della Sicilia, Periodici locali Newton.
  • Giuseppe Quatriglio, Mille anni in Sicilia, Marsilio.
  • Denis Mack Smith Storia della Sicilia Medievale e moderna, Laterza. 
  • John Julius Norwich, I Normanni nel Sud 1016-1130. Mursia: Milano 1971 (ed. orig. The Normans in the South 1016-1130: Londra, Longman, 1967).
  • John Julius Norwich, Il Regno del Sole 1130-1194, Milano, Mursia, 1971 (ed. orig. The Kingdom in the Sun 1130-1194, Londra, Longman, 1970).
  • Hubert Houben, Ruggero II di Sicilia, Un sovrano tra Oriente e Occidente, Editori Laterza, 1999

 

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