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Chi era e chi non poteva essere Federico II di Svevia

Non c’è dubbio che Federico II sia uno dei protagonisti più controversi di tutto il Medio Evo europeo, vittima della confusione che comunemente si fa tra gli elementi storici e quelli leggendari.

A questa situazione contribuiscono i suoi più irriducibili detrattori, ma anche quanti esaltano oltre il lecito la sua personalità; tant’è che oggi, con la diffusione del dibattito, non è tanto utile combattere le argomentazioni dei più ostinati neoguelfi (e sono, ahinoi! ancora tanti) quanto coloro che vedono in lui il profeta di una “modernità” che non poteva avere, di un ecumenismo che non poteva concepire…

Federico II – De Arte Venandi Cum Avibus.

Federico II

ha certo dominato la politica e la cultura medievale in un secolo in cui…

  •  …l’Imperatore ed il Pontefice romano ritenevano entrambi di essere investiti da Dio per gestire le cose dello Stato e della Fede, promuovendo due analoghe teocrazie: esisteva allora una palese, dichiarata “imitatio imperii” da parte del sacerdozio ed una “imitatio sacerdotii” da parte del “regnum”;
  •  …la conquista ed il mantenimento del potere giustificava le peggiori atrocità, né l’Imperatore poteva essere secondo al Pontefici che ordinavano la strage degli Albigesi, sacrificavano due milioni di Cristiani alle Crociate, promuovevano i processi inquisitoriali…
  •  …le integrazioni razziali non erano ancora concepite, mentre le minoranze religiose erano perseguitate dalla Chiesa ben coadiuvata dal “braccio secolare” che vedeva negli eretici soprattutto un grave rischio sovversivo
  •  …le violenze che oggi definiremo “maschiliste” coinvolgevano tutte le religioni e tutte le filosofie, lo sviluppo culturale era condizionato da dogmatismi ed integralismi d’ogni colore;
  •  …la cultura — preda ancora di alchimie e superstizioni d’ogni genere — non aveva ancora posto le premesse per la nascita della scienza, sia pure nella forma embrionale che avverrà due secoli dopo…

In questa situazione, Federico II si inserì con alcune intuizioni che lo resero un gigante del suo tempo; ma che non possono essere confuse con delle iniziative decisamente anticipatrici, che un uomo medievale non poteva certo concepire.

Egli infatti

  • …non fu un “laico” nel significato attuale del termine, ma lottò per condurre il Papato alle sole competenze morali, premessa per lo Stato di diritto e per sconfiggere ogni forma di integralismo;
  • …fu tremendo nelle battaglie, nel reprimere gli attentati alla propria persona, nel condurre gli assedi dove ricorse agli scudi umani non meno del Crociato Simone di Monfort, ma tentò più di ogni altro contemporaneo di risolvere molte controversie con la diplomazia, senza spargimento di sangue;
  • …punì le intolleranze dei Saraceni in Sicilia, ma li ospitò a Lucera integrandoli nel proprio esercito e nell’amministrazione dell’Impero; dopo di lui, regnanti Bonifacio VII a Roma e Carlo II d’Angiò in Sicilia, furono barbaramente sterminati nel 1300, l’Anno del Primo Giubileo;
  • …mantenne la giovane moglie Jolanda di Brienne nell’asfittico harem palermitano, ma nelle Costituzioni di Melfi dettò pagine importanti ed innovative per reprimere la violenza contro le donne e difenderle dalle accuse;
  •  …era ancora legato ai rituali magici dell’Oriente, ma alla sua Corte ospitò dotti di tutte le terre senza distinzione di razza e di religione, cui pose quesiti che saranno alla base delle prime ricerche degne di essere definite scientifiche;
  •  …si professò e fu sinceramente cattolico, ma seppe concepire l’universalità dalla cultura all’esclusivo servizio dell’uomo, superando i vincoli che nascevano dal fatto di voler distinguere le culture cristiana, ebrea, musulmana…

Crociato scomunicato, a Gerusalemme trasformò una lotta di religione in un confronto tra diverse culture, rendendo possibile un accordo da allora mai ripetuto.

Federico II non fu certo il pensatore medievale più illuminato ed innovativo in alcun campo della filosofia, della religione, dello scibile umano di allora. Ma il suo valore, o anche semplicemente il suo fascino, consiste nell’avere contemporaneamente spaziato in moltissimi campi della conoscenza, come tutti i grandissimi della storia…

L’Italia, culla del Guelfismo più intransigente, rimasta sotto l’influenza dei Papi fino al XIX secolo, soffre ancora di una storiografia che vuole Federico ateo, nemico della Chiesa, carico dei peggiori vizi che possono ledere l’onorabilità di un Principe. Al contrario in Germania, lontano dalle mene politico-religiose e dalle pretese territoriali della Chiesa, l’immagine dell’Imperatore è prevalentemente influenzata dal suo atteggiamento riformistico: ed i Tedeschi sono legati a lui da una profonda stima, molto vicina all’amore.

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Bibliografia:

Antonino De Stefano, Federico II e le correnti spirituali del suo tempo, Roma, 1923.

Kaiser Friedrichs II. in Süditalien, Stuttgart 1977)

Ernst Kantorowicz, Federico II imperatore, Garzanti, Milano, 1988.


David Abulafia, Federico II. Un imperatore medievale, Enaudi, Torino, 1993.


Carlo Fornari, FEDERICO II un sogno imperiale svanito a Vittoria, Silva Editore, Parma, maggio 1998.


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Michele Scoto

Michele Scoto fu filosofo, scienziato, medico, alchimista, traduttore dall’arabo e dal greco al latino, enciclopedista ed astrologo, molto probabilmente nacque intorno al 1175 in Scozia.
Studiò ad Oxford, a Parigi e a Bologna che all’epoca erano le migliori università europee, qui arricchì le sue conoscenze scientifiche, filosofiche e umanistiche. Con un ampio bagaglio culturale si trasferì in Spagna e a Toledo, nel 1217 tradusse dall’arabo il De animalibus di Aristotele (nota 1) e ancora il De coelo et mundo, il De anima dello Stagirita con i commenti di Averroè uno dei più noti filosofi arabo-spagnoli. Con queste traduzioni lo Scoto permise di conoscere al mondo latino queste opere. Durante la sua permanenza spagnola tradusse anche il De sphaera di Alpetragio.

Si trasferì in Italia intorno al 1220 alla curia papale che gli riconobbe per i suoi meriti alcune rendite ecclesiastiche, poi passo alla corte dell’imperatore Federico II, di cui fu l’astrologo ufficiale seguendolo nei suoi spostamenti.

Pare che Federico l’abbia inviato all’università di Bologna a far dono delle traduzioni dei commenti averroistici ad Aristotele fatte da lui e da altri.
Alcune fonti riferiscono che l’imperatore Svevo utilizzò Michaele Scoto come inviato presso i sovrani Arabi, come al-Kamil, per scambi diplomatici e culturali.
Michele Scoto fece parte della corte itinerante federiciana insieme ad altri filosofi e scienziati, tra questi ricordiamo Davide di Dinant, Adamo da Cremona, Teodoro di Antiochia, Gualtierio d’Ascoli, Roffredo di Benevento, Leonardo Fibonacci ed il cronista Riccardo di San Germano.

Federico II riceve un libro da Michele Scoto nel dipinto di Giacomo Conti – Palazzo dei Normanni.

I testi medievali ci riferiscono una serie di quesiti che Federico II avrebbe rivolto ai saggi della sua Corte, ed in particolare a Michele Scoto.
Qui di seguito inseriamo alcuni dei quesiti che Federico II pose a Michele Scoto.

“[…] Noi ti preghiamo di volerci spiegare l’edificio della Terra, e precisamente quanto è alta la sua solida consistenza sovrastante gli abissi; […] se laggiù esista qualche altra cosa che la sorregge oltre l’aria e l’acqua; […] l’esatta misura che separa un cielo dall’altro e ciò che esiste al di là dell’ultimo cielo; in quale cielo Dio, per sua natura, si trovi, ed in che modo egli stia assiso sul trono celeste, e come gli facciano corona gli angeli ed i santi, e cosa facciano gli angeli ed i santi costantemente in sua presenza…

“Inoltre desideriamo sapere […] dove esattamente si trovino l’Inferno, il Purgatorio ed il Paradiso: sotto la Terra, nella Terra o sopra essa? […] E se un’anima nell’aldilà riconosca un’altra anima e se taluna di esse possa tornare in vita per parlare con qualcuno o mostrarglisi…

“Vogliamo inoltre conoscere le misure della Terra: la sua altezza, il suo spessore e quanto disti dal più alto dei cieli, quanto si estenda nel profondo; […] se contenga spazi vuoti oppure no, se sarebbe un corpo solido come una pietra focaia…

“Desideriamo sapere com’è che le acque dei mari sono tanto amare, e come mai, sebbene tutte le acque provengono dal mare, vi siano acque salate in molti luoghi, e in molti altri, lontane dal mare, acque dolci…

“Vorremmo sapere di quel vento che viene da ogni punto della Terra, e di quel fuoco che prorompe dalla Terra […] come accade in alcune località della Sicilia e presso Messina, sull’Etna, a Vulcano, Lipari, Stromboli…”

Lo scoto scrisse anche il Liber introductorius, che metteva insieme tutto ciò che si sapeva su geografia, medicina, studio dei pianeti e ricerca teologica che dedico all’imperatore Svevo. Ci restano frammenti di una sua Divisio philosophiae mentre sono perdute le Quaestiones Nicolai Peripatetici.

Per i suoi interessi alla scienza araba, all’astrologia e alla magia fu considerato da alcuni un mago.
Scoto è citato da Dante Alighieri nel canto XX dell’Inferno all’interno della bolgia degli indovini:

«… Quell’altro che ne’ fianchi è così poco,
Michele Scotto fu, che veramente
de le magiche frode seppe il gioco…»


In una leggenda pervenuteci si dice che egli avrebbe predetto a Federico II la morte “Sub Flore” ed effettivamente lo Svevo morì in un luogo dal nome di un fiore; Castel Fiorentino.
Molto verosimilmente lo scoto morì nel 1236, tra le varie leggende che si tramandano su di lui ce né una relativa alla sua morte, in particolare si dice che morì colpito sulla testa da un sasso mentre, a messa, come si deve, si era tolto un pesante elmo che teneva sempre a protezione del capo, avendo lui stesso preconizzato questa fine.

Nota 1 De animalibus di Aristotele; i 10 libri della Historiae animalium, i 4 del De partibus animalium, e i 5 del De genere animalium.

Bibliografia:

  • Commento sul De Sphera: The Sphere of Sacrobosco and its Commentators, a cura di L. Thorndike, University of Chicago Press, Chicago 1949.
  • Michele Scoto, Liber Phisionomiae, Venetiis 1477.
  • L’arte dell’Alchimia: The texts of Michael Scot’s Ars Alchimiae, a cura di S. H. Thomson, in Osiris, V (1938).
  • P. Morpurgo, Federico II e la fine dei tempi nella profezia del cod. escorialense f.III.8, “Pluteus. Periodico Annuale di Filologia”, 1, 1983, pp. 135-167

Per approfondire:
– R. Manselli, La corte di Federico II e Michele Scoto, in Atti del convegno internazionale L’averroismo in Italia, Roma, Accademia nazionale dei lincei 1979.
– Le scienze alla corte di Federico II, a cura di V. Pasche, Leiden, Brill 1994.
– Federico II, a cura di P. Toubert e A. Paravicini Bagliani, Palermo, Sellerio 1994 (3 voll.: Federico II e il mondo mediterraneo; Federico II e le scienze; Federico II e le città italiane).

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Enrico VII di Hohenstaufen

Enrico VII era il primogenito di Federico II, nato dal matrimonio di questi con la prima moglie Costanza d’Aragona. Nato nel 1211, fu nominato nel 1220, ancora bambino, re di Germania, alimentando la speranza di poter unire concretamente, alla morte del padre, i Regno di Germania con il Regno di Sicilia. Raggiunta la maggiore età, fu per Federico una vera e propria spina nel fianco: il carattere indocile, le ambizioni, i cattivi consiglieri, lo indurranno ad una continua lotta familiare, che lo condurrà alla distruzione.

Enrico crebbe e maturò nell’ambiente dei ministeri imperiali di Germania, viziato dagli estranei ma senza conoscere l’affetto della famiglia sempre lontana, al seguito delle perenni missioni politiche e militari.
A questa circostanza — peraltro non nuova presso le dinastie imperiali — può forse essere ricondotto il rapporto conflittuale di amore – odio che ebbe con il padre, considerato un uomo eccezionale, mitico, irraggiungibile, ma lontano dalle legittime esigenze di un figlio.
Federico ed Enrico avevano un differente modo di vedere la gestione dello stato: il primo riteneva che dovesse andare ben oltre gli interessi nazionali ed assumere una dimensione sovranazionale, imperiale; il secondo, tendeva a favorire gli interessi germanici, nella convinzione che l’avvenire della dinastia fosse nella terra d’origine.
Nonostante i reiterati chiarimenti e le amorevoli raccomandazioni di Federico, la situazione condusse presto ad un doloroso scontro.

Stemmi di Enrico VII. A sinistra: Corpus Christi College di Cambridge, MSS 16II, fol.155v. A Destra: British Library, Royal MS 14 C VII fol.134v

Enrico, influenzato dai prìncipi germanici e dalle città che tendevano a consolidare le proprie autonomie, contravvenne alle disposizioni imperiali e fu il protagonista di una vera e propria ribellione. Dopo diverse insubordinazioni, fu costretto a presentarsi al cospetto di Federico II ad Aquilea nel maggio del 1232 e qui dovette impegnarsi ad eseguire a tutte le disposizioni imperiali.
Tornato in Germania, si comportò come se nulla fosse accaduto e riprese a spargere i semi della discordia; finché Papa Gregorio IX, i cui interessi nella circostanza coincidevano con quelli dell’Impero, nel 1234, gli lanciò l’anatema, giustificato con presunti atteggiamenti che infrangevano le leggi contro gli eretici.
Alla fine dello stesso 1246, Federico II apprese con costernazione che Enrico aveva niente meno che stipulato un’alleanza difensiva con la Lega Lombarda: i peggiori nemici dell’Impero e della Casa di Svevia!
Tutto ciò voleva dire alto tradimento: Enrico fu convocato senza indugio a Wimpfen, dove, dopo un sommario processo, fu deposto dal trono di Germania e condannato a morte. Solo in un secondo tempo Federico II — alla razionalità ed al dovere di Stato prevalse il cuore paterno — fece commutare la condanna in carcere a vita.
Enrico VII, rinchiuso in varie fortezze dell’Italia del Regno di Sicilia, iniziò una durissima prigionia.
La storia — che in queste circostanze è spesso inquinata dal mito — racconta che finì i suoi giorni suicida a soli trentun anni, il 10 febbraio 1242.

Enrico VII muore suicida a Martirano buttandosi da un dirupo, così è stato disegnato da Enzo Maria Carbonari nel libro “La montagna incantata” pubblicato con il patrocinio della Fondazione Federico II di Jesi.

Quel giorno stava percorrendo una tortuosa strada di montagna, mentre era trasferito da Nicastro alla volta del castello di Martirano di Calabria: uno dei tanti cambi di prigione. Improvvisamente, sottraendosi alla vigilanza degli accompagnatori, si gettò dal cavallo sfracellandosi in un dirupo. I soccorritori lo raggiunsero già morto.Federico diede ordine di seppellire il giovane figlio ribelle nel Duomo di Cosenza, avvolto in mantelli regali e con tutti gli onori. Un frate minore tenne l’orazione funebre commentando il versetto: “Abramo impugnò la spada per immolare il figlio a Dio”. Dall’esame paleopatologico effettuato dal prof. Gino Fornaciari è emerso che Enrico era affatto da lebbra.

Cosenza Duomo, Sarcofago di Enrico VII.

Bibbliografia:

  • Ernst H. Kantorowicz – Federico II Imperatore – 1931
  • David Abulafia, Federico II. Un imperatore medievale, Enaudi, Torino, 1993.
  • Eberhart Horst, Federico II di Svevia L’imperatore filosofo e poeta, Rizzoli Supersaggi, Milano, 1994.
  • Gino Fornaciari – La lebbra di Enrico VII, 1211-1242, figlio dell’imperatore Federico II e re di Germania: prigionia o isolamento? 2018 Luigi Pellegrini Editore
  • Georgina Masson, Federico II di Svevia, Tascabili Bompaini, prima edizione 1957, riedizione tascabile aprile 2001.
  • Wolfgang Stürner – Enrico VII re di Sicilia e di Germania (Federiciana) – Treccani

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Marcovaldo di Anweller

Marcovaldo di Anweller o Marquardo di Anweiler fu uno dei ministeriali dell’Impero più in vista dell’epoca sveva. Nacque in una famiglia con possedimenti nei territori del medio corso del Reno. Già funzionario di corte sotto Federico I Barbarossa divenne uno dei principali collaboratori dell’imperatore Enrico VI in Italia. 

Nel 1186-1187 svolse su incarico di Enrico funzioni di legato nell’Italia centrale, e si fa onore in operazioni militari per conto dell’imperatore Barbarossa.

Nel 1189 accompagnò Federico Barbarossa alla terza crociata, qui si distinse sia come capo militare sia come legato presso la corte imperiale bizantina. Nei primi mesi del 1192 rientrò in Europa e da quel momento fu sempre più vicino al nuovo imperatore Enrico VI.

Nel 1194 riuscì a procurare all’imperatore svevo il sostegno di Genova per la spedizione di conquista nel Regno siciliano-normanno. In questa occasione fu comandante supremo delle flotte genovese e pisana, con cui contribuì in modo determinante al rapido successo dell’impresa. 

Nel corso della dieta di Bari (1195) Enrico VI lo nominò marchese di Ancona, duca di Ravenna e conte di Romagna. Da lì a poco ottenne anche la contea degli Abruzzi e l’anno successivo a quella del Molise. 

Nel maggio-giugno del 1197 Marcovaldo soffocò nel sangue, insieme al maresciallo Enrico di Kalden, la rivolta esplosa in Sicilia contro l’imperatore.

Alcune fonti sostengono che Enrico VI, prima di morire (28 settembre 1197), gli abbia affidato il suo testamento. 

Marcovaldo di Anweiler in un’illustrazione del Liber ad honorem Augusti di Pietro da Eboli.

Dopo la morte di Enrico VI il Regno venne diviso tra i Baroni tedeschi, tra questi si impose proprio Marcovaldo, e i sostenitori del papato e dell’Imperatrice Costanza.

Ma l’Imperatrice fece arrestare i consiglieri di Enrico VI: Marcovaldo, Corrado d’Urslingen e Gualtiero di Palearia vescovo di Troia che erano membri del consiglio di reggenza. 

Poi Costanza espulse dal Regno Marcovaldo e tutti i tedeschi, e li fece giurare che non vi sarebbero più rientrati senza il suo permesso. Non è stato ancora confermato se l’imperatrice abbia concluso un accordo particolare con Marcovaldo in merito all’assicurazione dei suoi diritti sul Molise, come suppone Wolfgang Stürner (1992).

Nel 1198 l’imperatrice Costanza dichiarò Marcovaldo nemico dell’Impero e vietò qualsiasi contatto con lui perché aveva saputo che voleva rientrare nel Regno. 

Marcovaldo dovette affrontare l’ostilità del papato essendo deciso a recuperare i beni della chiesa che l’imperatore gli aveva dato in feudo, il conflitto con la Chiesa si aggravò quando Costanza d’Altavilla morì (28 novembre 1198) lasciando la tutela del figlioletto Federico a papa Innocenzo III. 

Nell’ottobre 1199 Marcovaldo ritornò in Sicilia e, appoggiandosi a un presunto passo del testamento di Enrico VI, rivendicò il diritto di assumere la reggenza affiancando l’erede al trono Federico. Anche i principi favorevoli agli Staufen riconobbero Marcovaldo come reggente imperiale su disposizione di Filippo di Svevia fratello di Enrico VI.

Innocenzo III lo accuso di avere ambizioni personali sul Regno di Sicilia e arrivò a proclamarlo “nemico di Dio e della Chiesa e persecutore del Regno” (Die Register, 1964, nr. 570, p. 829). 

È evidente che in quel momento per Innocenzo III Marcovaldo era divenuto il suo avversario più temibile. Nonostante l’impegno del papato, Marcovaldo riuscì a impadronirsi di buna parte dell’isola dopo una serie di continui combattimenti. 

Nel 1200 fu sconfitto dalle truppe pontificie a Monreale e a Randazzo. Alla fine dell’anno il cancelliere del regno Gualtiero di Palearia, che godeva della fiducia del papa, lo ammise nel collegio dei familiari, ma ciò lo portò alla rottura con il pontefice. 

Il controllo del piccolo Federico fu affidato al fratello di Gualtiero, il conte Gentile di Manoppello, mentre lo stesso cancelliere scese in campo contro Gualterio III di Brienne che era stato inviato dal pontefice per riprendere il controllo della Sicilia. In questa occasione Marcovaldo fu sconfitto dalle truppe pontificie.

Ciò nonostante, alla fine del 1201, Marcovaldo prese il controllo di Palermo e di Federico, in questo modo divenne reggente e padrone incontrastato dell’isola. Ma il suo progetto di dominio non poté realizzarsi completamente, perché nel settembre del 1202 morì di dissenteria a Patti.

Letture consigliate per approfondire: 

  • Giosuè Musca a cura di, Il mezzogiorno normanno-svevo e le crociate; Atti delle quattordicesime giornate normanno-sveve Bari, 17-20 ottobre 2000. Edizioni Dedalo 2002.
  • Th.C. van Cleve, Markward of Anweiler and the Sicilian Regency, Princeton 1937

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Corradino di Svevia

Corradino di Svevia nacque a Landshut, in Germania, nel 1252. Il padre era Corrado IV, figlio di Federico II, la madre Elisabetta di Wittelsbach (di Baviera). Noto anche come Corrado V di Hohenstaufen, fu l’ultimo sovrano della illustre dinastia: con lui si estinguerà, in pratica, la discendenza diretta. E’ stato duca di Svevia (1254-1268, come Corrado IV).
Fu re di Sicilia dal 1254 al 1258 con il nome di Corrado II, e re di Gerusalemme dal 1254 al 1268 con il nome di Corrado III.

Chiesa del Carmine Napoli – statua di Corradino 

Nel 1266, dopo la morte di Manfredi, quando aveva solo quattordici anni, fu chiamato in Italia dai ghibellini.
Allora nell’Italia meridionale erano accesi fuochi di resistenza nei confronti di Carlo d’Angiò, che fu costretto a precipitarsi verso il sud per cercare di reprimere almeno le principali opposizioni prima che il giovane Hohenstaufen varcasse i confini del regno di Sicilia.

Miniatura del Codex Manesse che illustra il quattordicenne Corradino di Svevia durante una battuta di falconeria.

La calorosa accoglienza ricevuta nella ghibellina Pisa lo incoraggiò   a continuare la marcia verso il Sud e verso l’eredità che legittimamente gli spettava.
Accolto con favore dalle città imperiali dell’Italia settentrionale, entrò a Roma trionfalmente, ponendo le premesse per una facile vittoria.
Fu allora che Carlo d’Angiò, abbandonato l’assedio della colonia musulmana di Lucera che aveva intrapreso per onorare una promessa formulata al Pontefice, si mise in marcia per intercettare al più presto l’esercito di tedesco.
L’incontro avvenne sul confine del Regno di Sicilia presso Tagliacozzo.
Era il 23 agosto 1268. Dopo le prime mosse di assaggio, i comandanti dei due eserciti accettarono lo scontro campale. L’esito della battaglia si mantenne a lungo incerto, la carneficina fu enorme finché gli Angioini più numerosi, freschi, e forse meglio organizzati, ebbero la meglio.
Ma vediamo come si svolse la battaglia.
Corradino fu sconfitto dopo un’apparente iniziale vittoria a causa di uno stratagemma ideato da Alardo di Valéry, che prese spunto a sua volta da un analogo espediente usato dai saraceni nelle crociate: il nobile Henry de Cousances, che era aiutante di campo del re, indossò le vesti del sovrano francese e si lanciò in battaglia con tutta l’avanguardia angioina preceduta dalle insegne reali. Gli uomini al seguito di Corradino si scagliarono in massa contro questa schiera, sbaragliandola. Caduto il Cousances, i ghibellini ebbero l’illusione di aver ucciso l’usurpatore francese e di avere in pugno la vittoria.

Dalla Nuova Cronaca di Giovanni Villani – Battaglia di Tagliacozzo
Codice Chigi, Biblioteca Apostolica – Vaticano

Ruppero così le loro formazioni, rilassandosi e poi inseguendo disordinatamente i franco-guelfi. Tutto ciò diede a Carlo I d’Angiò l’occasione di sferrare un nuovo attacco, questa volta a sorpresa, utilizzando 800 cavalieri che aveva tenuti in riserva e nascosti in un avvallamento. I ghibellini furono presi di sorpresa e alle spalle, non ressero alla carica della cavalleria angioina, furono travolti e si dispersi. Per lo schieramento svevo fu una disfatta che assunse in breve le proporzioni di un vero e proprio massacro. 

Battaglia di Tagliacozzo, minaitura medievale.

In un primo momento Corradino riuscì a sottrarsi alla cattura, iniziando una rocambolesca quanto umiliante fuga nella campagna, ospite di gente che forse neppure lo conosceva. Alla fine, tradito da alcuni compagni, fu catturato dalle milizie angioine ed imprigionato.
Portato in catene a Napoli, fu sottoposto ad un processo farsa, assieme ad alcuni suoi fedelissimi: quali delitti potevano essergli contestati, tranne quello di voler onorare il nome della dinastia e di affermare i propri diritti?
Condannato a morte, fu decapitato a soli sedici anni il 29 ottobre 1268 sul patibolo eretto in Campo Miricino, l’odierna Piazza del Mercato della città partenopea.
Con questa orrenda, ingiusta morte che all’epoca destò grande scalpore, finivano gli Hohenstaufen. Si dice però che alla esecuzione fosse presente Giovanni da Procida, fedele amico di Federico II, che raccolse il guanto di sfida con l’intenzione consumare presto ad una giusta vendetta.

Decapitazione di Carradino – Codice Chigi.

Dante ricorda il giovane Corradino nel XX canto del Purgatorio:
“Carlo venne in Italia e, per ammenda,
vittima fe’ di Curradino…”.

LA FIRMA AUTOGRAFA DI CORRADINO DI SVEVIA
Nota a cura di Alessandro De Troia.
Questa è l’unica firma autografa di Corradino di Svevia, nipote di Federico II, a quel tempo (Giugno 1268) appena sedicenne. Il giovanissimo svevo scrisse di propria mano la prima delle sottoscrizioni nel trattato di Pisa quando da Pavia vi giunse nella traversata verso il Sud Italia nel tentativo di strappare il regno a quel Carlo d’Angiò che appena due anni prima l’aveva conquistato uccidendo Manfredi, il “bello, biondo e di gentile aspetto” dantesco e figlio di Federico II.
A firmare con lui, il fedelissimo Federico di Baden, Duca d’Austria e Wolfrad di Veringen a cui toccò la sua stessa sorte. L’ultimo a firmare fu Guido Novello, il più importante rappresentante dei ghibellini toscani di quel periodo.
Nos Corradus Secundus Dei Gratia Jerusalem et Sicilie Rex, Dux Svevie, suprascripta manu propria confirmatus
Fonte: Archivio di Stato di Pisa


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Corrado IV di Svevia

Corrado visse la vicenda tormentata dell’uomo cresciuto all’ombra di un padre forte, autoritario, senza avere la possibilità di avere una vita propria, secondo le proprie attitudini.
Secondogenito di Federico II, nacque ad Andria il 25 aprile del 1228 dalla giovanissima Jolanda di Brienne, che l’Imperatore sposò senza amarla, solo perché gli recava in dote il titolo di re di Gerusalemme; e che morì solo dieci giorni dopo il parto.
Il padre si legò molto al figlio, vedendo in lui il proprio successore: per questo, cercò di impartirgli un’educazione rigida, finalizzata, degna di un imperatore.
Ma non tutti gli uomini accettano di essere predestinati ad un fulgido futuro.

Corrado IV interpretato da un Pittore anonimo – XVIII secolo.

Così, Corrado rifiutò la disciplina imposta dal ruolo, e si rivelò indisciplinato, privo di volontà. Il contatto ed il confronto con i fratellastri (figli bastardi dell’imperatore) che mostravano coraggio, intelligenza e amore per la poesia e le arti cavalleresche, voglia di affermarsi, gli inasprì il carattere rendendolo chiuso, diffidente e violento.
Federico non riuscì ad essere severo con lui; ma il ragazzo si rese conto della severità del padre quando questi operò la feroce repressione contro l’altro figlio Enrico, re di Germania, che gli si era ribellato.
Quando il fratellastro Manfredi gli comunicò la morte del padre avvenuta il 13 dicembre 1250, Corrado fu colto da una tempesta di sentimenti: dolore per la perdita di un punto di riferimento certo, senso di liberazione da un padre padrone che lo aveva vessato fin dall’infanzia, rabbia per non sentirsi all’altezza di una grave eredità…

Incoronazione di Corrado IV, da un manoscritto francese del XIV secolo.

Nei mesi successivi Corrado entrò in contesa con Guglielmo d’Olanda per la successione al trono imperiale, ma nessuno dei due fu eletto. Così, nel gennaio del 1252 scese in Puglia, sua terra natale, dove allontanò Manfredi e si fece incoronare re di Sicilia.
Qui cercò di rafforzare la sua posizione in Puglia e si riappropriò delle città di Capua e Napoli; quindi si oppose senza successo all’ostilità di papa Innocenzo IV, che lo scomunicò più volte.
Trascorrendo i mesi, gli anni, Corrado non riusciva ad ambientarsi nella terra che tanto aveva amato Federico. Il clima mediterraneo, nel quale peraltro era nato, non gli giovava, gli usi del posto gli erano estranei.
La sua vicenda umana si concluderà a Lavello il 21 maggio del 1254 colpito dalla stessa febbre intestinale che aveva ucciso il padre ed il nonno Enrico VI. Un altro perfido avvelenamento?
Lasciò erede il figlio Corradino che non divenne mai re. Fu sepolto a Messina.
 
Bibliografia:
• Bianca Tragni, Il Re Solo, Corrado IV di Svevia, Mario Adda Editore, Bari, 1998.
• Eberhart Horst, Federico II di Svevia L’imperatore filosofo e poeta, Rizzoli Supersaggi, Milano, 1994.
 
 
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Re Manfredi di Svevia

Federico II aveva una particolare predilezione per Manfredi: perché è figlio di Bianca Lancia, il suo unico vero amore; perché vede in lui l’erede dello spirito battagliero, indomito, tipico degli Svevi; perché dimostra di avere le sue stesse passioni.

Eppure, Manfredi ha una vita discussa, con atteggiamenti a volte contraddittori, che lo fanno un personaggio fra i più interessanti del suo secolo.

In realtà, se l’Impero medievale tramonta con Federico II, Manfredi è il protagonista di questa crisi, l’uomo che per primo sconta l’invettiva di Innocenzo IV: “Estirpare il nome di questo babilonese e quanto di lui possa rimanere, dei suoi discendenti, del suo seme”.

Manfredi nasce nel 1232 ed accompagna il padre in molte avventure militari e diplomatiche, lo assiste in punto di morte il 13 dicembre 1250. Per testamento Federico gli lega varie rendite e possedimenti e soprattutto lo nomina vicario del Regno di Sicilia che aveva assegnato a Corrado IV — il figlio di Iolanda di Brienne — che al momento si trovava in Germania. Questa decisione lo inimica subito al Papa, che avrebbe voluto liberamente disporre dell’intero patrimonio svevo.

Fin dall’inizio la reggenza si dimostra difficile, anche se i rapporti tra i due fratelli promettono di essere buoni.

Ma quando Corrado, nell’agosto del 1252, sbarca a Siponto e giunge nella Puglia per prendere possesso dei suoi territori dimostra di non avere il talento e le virtù paterne e di non poter reggere il confronto con Manfredi che, essendo figlio naturale, deve ridursi al semplice rango di vassallo. Fra i due corrono dissapori, invidie, rivalità finché nel 1254 Corrado muore per cause che sollevano non pochi dubbi. Fratricidio? Non si saprà mai, né sono affidabili le sole illazioni dei cronisti guelfi.

Diventato di fatto capo della Casa di Svevia, Manfredi si trova a tu per tu con Innocenzo IV, determinato a disfarsi dell’incomoda dinastia imperiale. Un tentativo di rappacificazione fallisce nel luglio del 1254, mentre il successivo 12 settembre Manfredi è colpito da anatema.

Di fronte alla possibilità di uno scontro cruento al quale nessuno era preparato, si giunge rapidamente ad un accordo.

Accanto alla revoca della scomunica, Manfredi riceve dalla mani del Papa feudi e principati, una rendita di ottomila once d’oro, e soprattutto la nomina a vicario per la maggior parte dei territori continentali del Meridione, in cambio del riconoscimento dell’autorità papale sul Regno di Sicilia.

Miniatura di Manfredi tratta dalla Bibbia detta di Manfredi, XIII secolo

Ma lo Svevo non demorde: all’inizio di dicembre organizza una rivolta in Puglia riuscendo a conquistare Lucera ed a battere l’esercito pontificio. E’ l’ultimo atto del confronto con Innocenzo IV, che rende l’anima a Dio il 7 dicembre 1254.

Da quel momento, forte della posizione acquisita con la diplomazia e con le armi, Manfredi vuol trarre il massimo profitto dalla elezione al soglio di Alessandro IV, un uomo che, almeno all’apparenza, si presenta debole ed indeciso e si dedica alla conquista del Regno che comporta una lotta lunga e complessa.

Sul piano militare il conflitto si inasprisce in Puglia; ma è fondamentale provvedere in tempi brevi all’occupazione del trono di Sicilia, che Manfredi ritiene un patrimonio svevo ereditato dai Normanni e destinato a Corradino, legittimo successore del defunto Corrado.
Così, il 10 agosto 1258, dopo aver allontanato il reggente Bertoldo di Hohenburg — un fedele di Federico II passato ad infoltire le file papaline — si fa incoronare nella cattedrale di Palermo tra le feste ed il giubilo della popolazione.

Incoronazione di Manfredi nel duomo di Palermo, dalla Cronaca del Villani.
 

Alessandro IV dichiara nulla l’incoronazione, mentre è dalla Germania, la madre di Corradino, l’erede legittimo di Corrado IV, insorge. Ma a Manfredi non è difficile spiegare il proprio operato, che si era reso necessario per salvare il Regno dallo sfacelo.

Da quel momento, Palermo tornava ad essere la capitale del più bel Regno d’Europa. Nel nuovo ruolo, Manfredi rafforza la compagine interna del Regno, distruggendovi ogni residuo di ribellione e dissenso. Contemporaneamente, cerca in Italia ed in Germania alleanze contro il Papato ed i nemici che questi gli avrebbe inevitabilmente procurato.

Sotto il profilo governativo, prosegue la politica paterna: solidarietà con i Ghibellini di tutta Italia ma senza cercare la guerra. Sotto il profilo culturale e legislativo, l’intelligenza, la sapienza, la cultura, lo conducono a proporre ai sudditi un periodo di illuminata serenità, anche se non avrà il tempo di raccoglierne i frutti.

Sotto il profilo dell’eleganza, la vita alla Corte di un Re giovane, bello, con gli occhi azzurri, i capelli e la barba fini… si svolge in un clima di gioioso, ricco di donne belle e raffinate; cose queste che consentono alla propaganda guelfa di alimentare dicerie ed accuse di corruzione.
Ma i tempi stringono. Il nuovo Papa Clemente IV, succeduto a Urbano IV, ha già individuato in Carlo I d’Angiò, fratello di Luigi IX, il Re Santo di Francia, l’uomo che spazzerà via Manfredi dal Regno di Sicilia.
Clemente IV inizia quindi è ad inviare a governi alleati e compiacenti messaggi di mobilitazione che alla fine si esprimono nel lancio contro Manfredi di una Crociata che rasenta il fanatismo;
è a corrompere con il denaro i governanti che non condividono i suoi obiettivi; è a fare ogni sforzo per agevolare con ogni mezzo la strada di Carlo I.

Carlo d’Angiò (statua di Arnolfo di Cambio), Roma – Palazzo dei Conservatori.

Alle strette, Manfredi si rivolge agli alleati ormai ridotti di numero. In questi appelli vi è tutta la dignità di un sovrano che non considera il nemico degno di sé. Essi esprimono l’illusione di un intellettuale, destinata ad essere soffocata dalla forza brutale.
Carlo I valica le Alpi al Colle di Tenda alla fine del 1265. Con un esercito di almeno 30.000 uomini, inizia a spargere il terrore nelle campagne e riduce la resistenza nelle roccaforti ghibelline. Il 6 gennaio 1266 è incoronato a Roma, in assenza del Papa, cosa questa che prova il declino della Sede Apostolica. Il 20 gennaio Carlo I riparte da Roma e supera i confini del Regno attraversando il fiume Liri. Dopo varie scaramucce, lo scontro campale avviene a Benevento.
Il mattino del 26 febbraio, seguendo il consiglio di un astrologo, Manfredi decide l’attacco. Dopo un aspro scontro, le sue forze sono sopraffatte.

Manfredi potrebbe lasciare il campo, mettersi in salvo, allontanarsi dal Regno in attesa di tempi più favorevoli. Ma non vuole abbandonare i suoi prodi che combattono al grido di “Svevia!”. Deciso a gettarsi nella mischia, è sta vestendo l’armatura, quando l’aquila reale si stacca dall’elmo e cade in terra. “Ecco la volontà di Dio” mormora: è il segno della fine. La giornata si conclude con un massacro e Carlo I resta padrone del campo. Uno dei suoi soldati aveva ucciso Manfredi con un colpo di spada, senza nemmeno riconoscerlo.

La battaglia di Benevento, miniatura della Nuova Cronica di Giovanni Villani.

Era il tramonto del 26 febbraio 1266.

Il disegno che ritrae il riconoscimento del corpo di Re Manfredi dai suoi fedeli Baroni.

La propaganda guelfa e papalina ha per secoli accusato Manfredi di aver usurpato il trono del nipote Corradino. Se questo fatto può avere qualche fondamento storico, non si vede come l’accusa possa essere lanciata da un pulpito che ha imposto l’occupazione angioina di Carlo I, avviando una dominazione straniera indubbiamente più odiosa e retriva di quella Sveva.

Così ricorda re Manfredi la città di Manfredonia.

Bibliografia:

  • Eucardio Momigliano, Manfredi, dall’Oglio editore – Milano, 1963.
  • Walter Regolo, Manfredi di Svevia, Edizioni Movimento Salvemini, 2006.
  • Paolo Grillo, Manfredi di Svevia, Salerno Editrice, 2022.

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Enzo di Svevia

Enzo — o, derivando meglio dal nome latino, Enzio (Heinrich detto Heinz, in lat. Encius, in ital. Enzio o Enzo) — nacque nel 1220 dalla relazione di Federico II con una nobildonna di origine germanica, Adelaide, che alcune fonti affermano sia stata la figlia del duca di Spoleto Corrado di Urslingen Conte di Assisi, nominato da Enrico VI Duca di Spoleto, uomo di assoluta fiducia della Casa sveva: lo stesso che aveva fornito ospitalità a Costanza d’Altavilla al momento del parto.
Detto “il Falconetto” per la sua grazia e per il suo valore, Enzo è stato un uomo decisamente interessante sotto vari aspetti: come il padre amò la cultura e lo sport, fu appassionato della caccia con il falcone, un buon poeta, amante del gentil sesso, un condottiero coraggioso ancorché sfortunato. 
 
Diciottenne, nel 1238 sposò per interessi dinastici Adelasia di Sardegna, principessa dei Giudicati di Torres e Gallura, vedova di Ubaldo Visconti, dieci anni più anziana di lui. Con questo matrimonio divenne Re di Sardegna, sollevando il risentimento di Gregorio IX che non voleva vedere occupato dalla Casa di Svevia un simile interessante possedimento, in precedenza vassallo della Chiesa. In seguito il Papa riuscì a sciogliere il matrimonio per infedeltà del marito.
Nel 1249, passò a seconde nozze con una nipote del cognato Ezzelino da Romano, della quale non si conosce il nome. Giova ricordare che Ezzelino aveva sposato Selvaggia (1223-1244), una figlia naturale di Federico.
Dai matrimoni, Enzo ebbe un figlio Enrico, non ricordato dal testamento del padre; mentre da una certa Frascha ebbe una figlia illegittima, Elena, che — ricordata nel testamento — andò sposa a Ugolino della Gherardesca conte di Donoratico.
 
L’attività militare di Enzo fu intensa.
Nel 1241 partecipò alla battaglia navale dell’Isola del Giglio: un assalto piratesco contro i prelatii inglesi e francesi che, partiti da Genova, si recavano a Roma per partecipare al Concilio Ecumenico convocato da Gregorio IX. Fu un’ecatombe di monsignori fra morti, feriti e prigionieri rinchiusi nelle carceri del Regno di Sicilia; un gesto che costerà caro alla diplomazia ed all’immagine dell’Impero.
Successivamente, combatté a lungo contro i Comuni lombardi. Nel giugno del 1247, mentre era con i Cremonesi all’assedio del castello di Quinzano presso Verolanuova, nelle vicinanze di Brescia, ebbe notizia della defezione di Parma a vantaggio dei Guelfi, e fu il primo ad accorrere in aiuto degli Imperiali presso la città ribelle.
Il 18 febbraio 1248, giorno della sconfitta, uscì indenne dalla distruzione della cittadella imperiale di Victoria — fatta erigere da Federico alle porte di Parma — perché era in missione militare sulle rive del Po.
Nel 1249 il suo esercito fu sconfitto dai Bolognesi nella battaglia di Fossalta; catturato, fu condotto in catene a Bologna.

Re Enzo catturato dai bolognesi (miniatura del Codice Chigi).
Re Enzo catturato a Fossalta dai bolognesi, così è stato disegnato da Enzo Maria Carbonari nel libro “La montagna incantata” pubblicato con il patrocinio della Fondazione Federico II di Jesi.
Stemma bicefalo di Re Enzo. (a cura di Alessandro De Troia).

Federico ne chiese con insistenza la restituzione — era stato e restava uno dei suoi figli più fedeli ed affidabili — ma i bolognesi risposero chiaramente che non lo avrebbero mai liberato. E così fu.
Durante la lunga, dorata ma tristissima prigionia nel palazzo del Podestà in Bologna, conobbe varie donne ed ebbe due figlie naturali: Maddalena e Costanza, entrambe ricordate nel testamento. Si dedicò alla poesia, scrivendo fra l’altro un estremo saluto all’amata Puglia che lo aveva visto bambino:
 
 Va, canzonetta mia,
 e saluta Messere,
 dilli lo mal ch’i’ aggio:
 quelli che m’à ‘n bailìa
 sì distretto mi tene,
 ch’eo viver non por[r]aggio
 salutami Toscana,
 quella ched è sovrana,
 in cui regna tutta cortesia;
 e vanne in Pugl[i]a piana,
 la magna Capitana,
 là dov’è lo mio core nott’e dia.
 
Enzo finirà i suoi giorni ancora prigioniero a Bologna, il 14 marzo del 1272.
Nel 1909 Giovanni Pascoli si ispirerà a lui nelle celebri composizioni poetiche “Canzoni di re Enzio”.
 
LE LIRICHE
Enzo è il più attivo e fervido tra i poeti della famiglia imperiale. L’amarezza per le tragiche vicissitudini che lo vedono protagonista trova libero sfogo nelle sue romanze, pervase di un’originale linfa poetica, priva di artifici e convenzioni.
Le composizioni risalgono al periodo nel quale è prigioniero dei Bolognesi dopo la sconfitta di Fossalta del 1249, mentre incanta prima i suoi carcerieri poi la nobiltà cittadina con la letizia e la freschezza della sua gioventù.
Ciò che resta delle sue romanze, gelosamente custodite in un quaderno menzionato nel suo testamento, sono solo pochi versi. In Amor si fa sovente, probabilmente una delle prime liriche, esprime ancora un bagliore di gioia e vitalità; in S’eo trovasse pietanza, da cui sono tratti i versi seguenti, troviamo solo la cupa disperazione di un uomo senza speranza:
 
Ecco pena dogliosa
che nel cor mi abbonda,
e sparge per li membri
sì che a ciascun ne vien soverchia parte;
Non ho giorno di posa
come nel mare l’onda.
Core, che non ti smembri?
Esci di pena e dal corpo ti parte.


 
TEMI E PROBLEMI
Re Enzo è stato sicuramente un personaggio di rilievo del XIII secolo, ma la sua figura, come quella degli altri figli di Federico II, è stata messa in ombra,  per il grande mito che si è sviluppato intorno alla figura del padre. Ma Enzo è riuscito a  lasciare il segno nella “democratica” Bologna che ancora oggi celebra e ricorda con manifestazioni, mostre e concerti il Re che fu loro ospite nell’epoca in cui la città seppe emettere il Liber Paradisus, atto con cui nel 1257 il Comune decise l’affrancamento di tutti i 5.855 schiavi e la parità fra donne e uomini.
È auspicabile che gli studiosi diano maggior risalto a questi personaggi minori che hanno segnato, pur restando fuori dal mito, momenti importanti del medioevo italiano.
 
NOTE BIBLIOGRAFICHE ESSENZIALI (CUI SI RIMANDA PER LE INDICAZIONI SULLE FONTI)
 
• Ernst Kantorowicz, Federico II imperatore, Milano 1988 (ed. orig. Berlin 1927-31).
• Gina Fasoli, Re Enzo tra storia e leggenda, in AA.VV., Studi in onore di C. Naselli, II, Catania 1968.
• Antonio Messeri, Enzo Re, Parma 1981.
• F. Bruni, La cultura alla corte di Federico II e la lirica siciliana, in Storia della civiltà letteraria italiana, diretta da G. Barberi  
• Squarotti, I, 2: Dalle origini al Trecento, Torino 1990.
• Eberhart Horst, Federico II di Svevia L’imperatore filosofo e poeta, Milano 1994.
• David Abulafia Federico II. Un imperatore medievale, Torino 1995 (ed. orig. London 1988).
• Pietro Corrao, Il regno di Sicilia e la dinastia sveva, in AA.VV., Storia medievale, Roma 1998, pp. 354-356.
 
Per approfondire si consigli la lettura del libro:
• “Bologna, re Enzo e il suo mito” di Anna Laura Trombetti Budriesi.
• Le Canzoni di re Enzio, tre componimenti poetici (del Carroccio, del Paradiso, dell’Olifante) composti da Giovanni Pascoli nel 1908.
• Storia di Re Enzo, Bononia University Press, Matteo Marchesini, Bologna 2007.
 
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Papa Onorio III

Onorio III, Cencio Savelli, Romano, la sua elezione fu accolta con gioia dai romani che avevano finalmente come papa un loro concittadino. Fu Papa dal 18 luglio 1216 al 18 marzo 1227. Continuò la crociata contro gli albigesi e approvò ufficialmente la regola dei francescani e dei domenicani. Fu scrittore fecondo, redasse una raccolta di decretali, la Compilatio Quinta, considerata il primo testo ufficiale di diritto canonico, e il Liber censuum Romanae Ecclesiae. 

Giotto di Bondone – San Francesco predica un sermone a papa Onorio III, 1297-99 – Basilica superiore di San Francesco d’Assisi.

È stato canonico nella Basilica di Santa Maria Maggiore; successivamente ciambellano pontificio nel 1188, sotto il papato di Clemente III e Celestino III fu camerlengo, cioè tesoriere.
La sua attività di abile amministratore delle finanze papali gli valse la nomina a cardinale diacono del titolo di S. Lucia in Orthea da parte di Celestino III (1193).
Nel 1196 l’imperatrice Costanza d’Altavilla mise il figlio Federico II sotto la tutela di papa Innocenzo III (1198-1216). Il papa assegnò a Cencio l’incarico di seguire l’educazione del futuro imperatore. In questo periodo cambiò titolo cardinalizio, diventando nel 1200 cardinale presbitero dei Santi Giovanni e Paolo.
Nel 1217 consacrò l’imperatore d’Oriente, cosa che nessun papa aveva mai fatto. Nel 1219 il Comune di Roma tentò di riconquistare la libertà, ma Federico II intervenne immediatamente in favore del papa. Nel 1220 conferì la corona del Sacro Romano Impero a Federico II, che aveva promesso di organizzare una crociata in Terra Santa.
Si dedicò all’evangelizzazione dei paesi scandinavi e slavi. Onorio III morì prima di veder realizzata la tanto attesa crociata. Fu sepolto in Santa Maria Maggiore.

Bibliografia:

• John W. O’Malley – Storia dei papi – Campo dei Fiori. 17-11-2011

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Cronologia della vita di Federico II di Svevia

FEDERICO II di Svevia IMPERATORE ROMANO
BREVE CRONOLOGIA
    

1194 – Il 26 dicembre Federico Ruggero nasce a Jesi da Enrico VI Hohenstaufen Imperatore del Sacro Romano Impero (figlio di Federico Barbarossa) e di Costanza (figlia primogenita postuma di Ruggero II d’Altavilla Re normanno di Sicilia).

Federico II nasce a Jesi sotto una tenda attrezzata, collocata nella piazza principale di Jesi. Immagine tratta dalla "Cronica figurata di Giovanni Villani". 
Federico II nasce a Jesi sotto una tenda attrezzata, collocata nella piazza principale di Jesi. Immagine tratta dalla “Cronica figurata di Giovanni Villani”. 


1197 – Prima di riprendere la via di Palermo, preoccupata per le insidie del viaggio, Costanza affida il figlioletto alle cure della duchessa di Spoleto. Federico sarà battezzato ad Assisi, alla stessa fonte che aveva visto San Francesco e Santa Chiara.

Pietro da Eboli, Costanza d’Altavilla e il neonato Federico II, miniatura, da Liber ad honorem Augusti, cod. 120 II, c. 138r, Burgeebibliothek, Berna.

– Il 28 settembre muore Enrico VI; e Costanza provvede a ricongiungersi con il figlio nella reggia di Palermo. 
1198 – Costanza fa incoronare Federico Re di Sicilia; lo pone sotto la tutela del neo eletto pontefice Innocenzo III e muore il 17 maggio. 
1198/1205 – Il dissesto politico ed istituzionale che segue l’estinzione della Casa d’Altavilla costringe il piccolo re Federico, abbandonato dai suoi tutori, ad una difficile infanzia a Palermo: una città cosmopolita dove si mescolavano cristiani, ebrei e musulmani provenienti da tutti i paesi del bacino del Mediterraneo e dalla Germania. Questa esperienza influirà molto sulla sua formazione. 
1205 – Ripristinato l’ordine, il Regno di Sicilia ritorna sotto l’influenza pontificia e Federico può riprendere la vita di Corte iniziando l’istruzione che gli compete; ma nel frattempo la situazione politica sia in Sicilia sia in Germania soffre di un rapido deterioramento a vantaggio delle vecchie classi feudali. 
1209 – Dietro suggerimento di Innocenzo III, Federico sposa Costanza d’Aragona che gli darà il primogenito Enrico;
Ottone IV di Brunswick è incoronato imperatore a Roma.  
1212 (-1220) – Federico si sposta per la prima volta verso l’Europa settentrionale. Attraversando l’Italia si rende conto dell’ostilità delle popolazioni lombarde, ancor memori delle vicende sofferte con il nonno Barbarossa; in Germania tenta di avvicinare i nobili riottosi ma evita il conflitto solo rinnovando esenzioni e prebende. 
1215 – Ottone di Brunswick tenta di unire le corone di Germania e di Sicilia ed entra in conflitto con Innocenzo III che lo depone e lo scomunica; dopo un lungo braccio di ferro diplomatico e militare Federico, che ha rinnovato fedeltà alla Chiesa e promesso di comandare una Crociata in Terra Santa, è incoronato ad Aquisgrana Re di Germania. 
1216 – Muore Innocenzo III e gli succede Onorio III. 
1220 – Rientrato in Italia, Federico II è incoronato imperatore da Onorio III. La promessa della Crociata non gli impedisce di proseguire verso la Sicilia dove lo attende l’ingrato compito di normalizzare la situazione politica e sociale. La lotta contro le baronie sicule dura tre lunghi anni, dal 1221 al 1223, ma si conclude con successo. 

Corona d'oro con croce d'oro del Sacro Romano Impero, (Vienna, presso il museo Kaiserliche Schatzkammer). Foto di Alberto Gentile
Corona d’oro con croce d’oro del Sacro Romano Impero, (Vienna, presso il museo Kaiserliche Schatzkammer). Foto di Alberto Gentile

1224 – Fondazione dell’Università di Napoli, il primo ateneo realmente laico e di Stato, che attira presto docenti e discepoli da ogni parte d’Europa. 
Federico II (1220-1245), incoronato imperatore da Onorio III (1216-1227), conferma le precedenti donazioni e giura fedeltà alla Santa Sede.   
1225 – Negoziati con la Curia romana per la Crociata e conseguente Trattato di San Germano che pone per la partenza il termine perentorio del 1227. Federico II sposa Isabella (o Jolanda) di Brienne che gli reca in dote la corona di Gerusalemme: una premessa che gli avrebbe agevolato la spedizione in Terra Santa. 

Federico II si sposa con Isabella Jolanda di Brienne, dalla cronica del Villani.

1226 – Federico II convoca la Dieta di Cremona per avviare la restaurazione del potere imperiale in Lombardia ed i Comuni lombardi rispondono rinnovando la Lega. 
1227 – Gregorio IX succede ad Onorio III. 
1227 – Federico II salpa da Brindisi per avviare la Crociata ma un’epidemia scoppiata a bordo, forse la peste, lo costringe al rientro. La spedizione è rinviata all’anno successivo, ma Gregorio IX non crede alla buona fede dell’imperatore e lo scomunica. 
1228/1229 – Federico II realizza la Crociata passata alla storia con il nome di “Crociata degli scomunicati” e conclusa, dopo una lunga trattativa diplomatica, del tutto pacificamente, senza spargimento di sangue. Nel mese di marzo, essendo scomunicato, si “auto incorona” a Gerusalemme. Ritornato in Italia, caccia le truppe pontificie che nel frattempo si erano infiltrate dei suoi territori del Regno di Sicilia. 
1230 – Federico fa pace con la Curia ed il pontefice ritira la scomunica. 
1235 (-1236) – Federico II si reca in Germania dove cerca di contrastare la ribellione del figlio Enrico re di Germania che si era alleato con i suoi nemici; il giovane sarà deposto ed incarcerato. 
1235 – Federico II sposa Isabella di Inghilterra, sorella di Enrico III, con l’intento di avvicinare i ricchi Guelfi dell’Isola. 
1235/1239 – Campagne di Federico II contro i Comuni lombardi: presa di Vicenza, fallito assedio di Brescia e battaglia di Cortenuova che rappresenta l’apogeo della sua gloria militare, festeggiato a Cremona come l’Imperatore dei Romani. 
1239 – Dopo le campagne militari di Lombardia e un lungo contenziodo diplomatico, Gregorio IX scomunica Federico II e convoca contro di lui un Concilio a Roma. Federico II si oppone all’iniziativa e ostacola l’arrivo dei prelati. Nel mare dell’Isola del Giglio la flotta imperiale intercetta le navi che trasportano i padri conciliari tedeschi e francesi: molti di loro sono uccisi, altri tratti prigionieri nel Regno di Sicilia. 
1240 – Nell’intento di superare definitivamente con la forza la resistenza della Curia, ultimo ostacolo al suo potere assoluto in Europa,  Federico II tenta la marcia su Roma ma rinuncia al progetto e ritorna in Sicilia; quindi si dedica alla Campagna di Romagna con la presa di Ravenna e l’assedio di Faenza.        
1243 – Innocenzo IV papa.
1244 – Innocenzo IV inizia con Federico II trattative di pace ma le interrompe e fugge a Lione.
1245 – Innocenzo IV celebra a Lione un Concilio nel corso del quale Federico II è deposto e scomunicato. 
1246 – Mentre la Corte è acquartierata a Grosseto, scatta contro Federico II una congiura che è scoperta il giorno di Pasqua. Essa era stata ordita in ambienti pontifici con la connivenza di alcuni importanti funzionari dell’Impero passati in campo avverso.

Salerno, Museo Diocesano, frammento di Exultet, probabilmente è stato realizzato nello scriptorium salernitano nel terzo decennio del XIII secolo. Il potere Temporale; Federico II legislatore.

1247 – Federico II si avvia a marciare su Lione ma è trattenuto dalla defezione di Parma che, tradizionalmente fedele all’Impero, si schiera dalla parte della Chiesa, complice il vescovo locale nipote del pontefice. Inizio dell’assedio di Parma.
1248- 18 febbraio, Federico II è sconfitto a Parma.
1250 – Secondo alcune fonti, Federico II sposa in punto di morte Bianca Lancia che gli aveva dato il figlio Manfredi, la figlia Costanza e, forse, Violante.
Il 13 dicembre muore nel Castello di Fiorentino.
1251 – Nonostante la scomunica Federico II — morto con i conforti religiosi — è sepolto nella cattedrale di Palermo.

Bibliografia:

  • David Abulafia, Federico II. Un imperatore medievale, Enaudi, Torino, 1993.
  • Eberhart Horst, Federico II di Svevia L’imperatore filosofo e poeta, Rizzoli Supersaggi, Milano, 1994.
  • Pietro Corrao, Il regno di Sicilia e la dinastia sveva, in Storia Medievale (pag. 354 –356), Donzelli Editore Roma 1998.
  • Fulvio Delle Donne, Federico II e la Crociata della Pace, Carrocci Editore, 2022


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